sabato 3 febbraio 2024
Il fondatore del Sermig legge la Giornata per la Vita attraverso l'esperienza di tanti anni spesi ad accogliere ogni vita umana che si presenta alla sua porta qualunque sia la sua condizione
Ernesto Olivero con alcuni ragazzi del Sermig

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Erano i primi anni del Sermig. Io e i miei amici muovevamo i primi passi in questa avventura che piano piano ci sarebbe cresciuta tra le mani. Ricordo che una sera mi avvicinò una ragazza molto giovane. Intuii subito che aveva qualcosa di importante da confidarmi. «Ernesto, sono incinta. Il mio ragazzo il bambino non lo vuole. Mi ha detto di abortire. Ma io voglio questo bambino, cosa devo fare?». Mi sentii gelare di fronte a quelle parole. Cosa avrei fatto se fosse stata mia figlia? Seguii il cuore. «Questo ragazzo non ha senso di responsabilità. Non avere paura. Fai nascere il tuo bambino. Ti aiuterò. Ti staremo vicino in ogni modo». E così abbiamo fatto.

L’ultima situazione è di pochi mesi fa: abbiamo accolto una donna che aspettava due gemelli. A malincuore stava decidendo di abortire. Da sola non si sentiva di affrontare questo evento ma piangeva sempre per il dolore di non far nascere le sue creature. L’abbiamo rassicurata che non l’avremmo lasciata sola, che le saremmo stati vicini, e non solo da un punto di vista economico. Quella mamma ha fatto nascere i suoi due bambini e ora li sta crescendo serena della sua decisione.
In tutti questi anni sono stati tanti i bimbi nati grazie a un confronto sereno e a una vicinanza concreta alle mamme sole, non forzando la loro volontà o usando strategie persuasive, ma offrendo la nostra vicinanza concreta, accettando di diventare anche noi padri e madri di quei figli.

Fa male oggi vedere il grande tema della difesa della vita ridotto a ideologia. A volte sembra impossibile andare oltre certe contrapposizioni, ci si perde in questioni di principio, nella difesa fine a sé stessa dei diritti. E mentre ci si scontra, rischiamo di dimenticare la storia delle persone e tutto il bene che possiamo fare, quel bene che è alla nostra portata, che passa sempre da gesti concretissimi.

In questi anni ho capito che in molte situazioni il problema non è accogliere una nuova vita, ma è la solitudine, la disperazione che prende tante donne quando sentono di non avere prospettive. L’amore, la fiducia, l’ascolto non giudicante, il rispetto sono l’unico terreno buono che può permettere a una donna di accogliere una vita. Mai la violenza dell’ideologia. Per questo servono comunità e persone credibili che sappiano farsi custodi della vita in tutte le sue espressioni: il bimbo nel grembo di una madre, un anziano solo, una persona con una malattia cronica, una persona con disabilità.

Ricordiamolo sempre: dentro di noi, dentro il cuore di ogni uomo e donna, ci sono potenzialità immense che possiamo sprigionare, ma solo se scegliamo da che parte stare, se ci facciamo interpellare dalla realtà che ci circonda, se impariamo a metterci nei panni degli altri, soprattutto i più poveri. A contatto con il prossimo scopriremo così che l’amore non è una parola, non è un bel sorriso, è un fatto. Ameremo se daremo da mangiare agli affamati, se vestiremo gli ignudi, se accoglieremo lo straniero. Aggiungo: se difenderemo la vita indifesa. È difficile e faticoso, ma questo è l’amore.
Fondatore del Sermig
Servizio missionario giovani



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