Presentazione del libro scritto da Fabio Bolzetta, "La Chiesa nel Digitale" - Cristian Gennari/Siciliani
Come realizzare un sito web per la parrocchia? E come utilizzare i social media per la pastorale? Come, insomma, vivere «La Chiesa nel digitale». È il titolo del volume a cura di Fabio Bolzetta, con la prefazione di papa Francesco, edito da Tau Editrice. Il testo è stato presentato lunedì scorso presso la Sala Marconi di palazzo Pio a Roma. Il volume, nato dall’esperienza dei 150 video tutorial dell’Associazione Webmaster Cattolici Italiani (Weca), offre un cammino in quattro tappe per riflettere, scoprire, condividere sui social e pubblicare sul web l’esperienza di una Chiesa che, appunto, è presente anche nel mondo digitale. Un percorso che, soprattutto alla luce dell’esperienza della pandemia, propone come «abitare il digitale» con consapevolezza e formazione senza perdere di vista la continua evoluzione degli strumenti e delle piattaforme digitali. Così da proporre una interessante e piacevole copertina del libro “interattiva”, con la presenza di un QR Code e lo sviluppo di un algoritmo che accompagnano e ne arricchiscono la lettura con contributi multimediali sempre aggiornati e molto utili per gli utenti.
Ruffini: comunità accogliente
Proprio la consapevolezza di «fare Rete» è stata sottolineata da Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la Comunicazione. «Si tratta di una guida pratica, ma è anche una guida spirituale perché dà gli strumenti per leggere l’era digitale in un tempo così confuso. Da un lato, infatti, i social possono facilitare i rapporti umani ma dall’altro possono portare ad un’ulteriore polarizzazione tra individui e gruppi». Il Web, secondo Ruffini, infatti, «ci permette di essere in ogni luogo, riesce a riscattare le periferie dalla marginalità, a creare uno spirito critico e partecipativo», ma è allo stesso tempo cosi «disincarnato da ridurre tutto a un dualismo feroce, quello del “mi piace/non mi piace”, “ti aggiungo/ti cancello”» e dunque rischia di distruggere il mondo reale «a favore dei non-luoghi dove le relazioni sono fragili se non addirittura assenti», dove non c’è privacy né vero senso di comunità e dove, come se non bastasse, si è «bombardati da messaggi, molti dei quali inutili né veritieri». Il segreto della comunicazione, ha spiegato Ruffini, è quello di «unire mondi divisi, enfatizzare ciò che ci unisce, aiutare la ricerca scientifica, la condivisione della fede, essere un antidoto al pensiero unico», dunque «non sotterrare il dono della tecnologia proprio come la Scrittura ci insegna a non sotterrare i talenti». Citando poi le parole del Pontefice, Ruffini ha sottolineato che chi comunica lo fa, «prima ancora che per professione, per vocazione e dunque la prima cosa che si comunica è se stessi». In tal senso «la Chiesa per comunicare deve riscoprire fino in fondo il suo essere comunità ed essere il collante di una comunità aperta, accogliente». Un «libro prezioso», quello di Bolzetta, ha sottolineato Ruffini perché spiega che per abitare un mondo così mutevole come quello digitale si deve essere consapevoli che «tocca agli uomini e alle donne di buona volontà guidarlo verso il bene» poiché «la Chiesa abita dove abita l’uomo ed è chiamata ad annunciare il Vangelo a tutte le genti». Esistere in questo spazio collettivo è quindi necessario «per ricondurre alla realtà fisica le persone che accedono al digitale», in particolare i giovani «principali protagonisti del Web», troppo spesso a rischio «da piaghe come il cyberbullismo, la pornografia, la pedopornografia e l’isolamento relazionale». Ecco la parola chiave secondo Ruffini: «condividere». Farlo, come racconta “La Chiesa nel Digitale” con «relazioni e progetti, luoghi e incontri, mettere dunque in contatto le persone e far rinascere in loro la propensione al dono».
Smerilli: in ascolto del mondo
Da parte sua, suor Alessandra Smerilli, segretario del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, la domanda da porsi non è se la Chiesa deve essere nel digitale, ma «perché». «La Chiesa deve risiedere ovunque ci siano uomini e donne con i loro problemi, i loro drammi ma anche le loro potenzialità». Quando la Chiesa si accosta al digitale, ha spiegato, «non lo può fare basandosi solo sulla teoria, ma sporcandosi le mani, con la propria cultura e identità» e, allo stesso tempo, facendo sì che le proprie conoscenze pregresse «possano atterrare sul digitale, proprio come illustra questo volume». Un libro, ha evidenziato suor Smerilli, «che come raramente accade, non arriva dopo, ma è arrivato “prima” e “durante” i cambiamenti tecnologici in atto. Leggiamo qui esperienze pratiche, concrete e la stessa copertina è uno strumento utilizzabile con concretezza, proprio come ci ha detto papa Francesco tante volte: avere concretezza, non rimanere sulle nuvole». L’accento è stato poi posto sulla parte del volume che parla di “ascolto”, citando l’ultimo messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni Sociali. «L’ascolto è un aspetto trasversale del libro e ci riporta al Sinodo dei Giovani dove è stato chiesto di “ascoltare con il cuore”» e ascoltare soprattutto chi è più lontano dal nostro mondo di pensare. «Il libro si colloca nella linea di mettersi in ascolto del mondo per essere al suo servizio», ha affermato suor Smerilli. Un servizio che, come ha ribadito la religiosa, non può prescindere dell’essere “integrale”. Aiutare il prossimo, comunicare il Vangelo sono azioni che «devono prendere in considerazione tutti gli aspetti della vita delle persone, non lasciare nessuno indietro e questo libro fa sua un’affermazione di papa Francesco: “nessuno si salva da solo” e questo è più che mai vero nel Web», dove tutto è interconnesso e condivisibile, ma è anche enorme il rischio di «rimanere soli dietro uno schermo, non tessere relazioni, non abbracciare le persone».
Corrado e Padrini: uno stile che abbraccia
In apertura e chiusura dell’evento di presentazione del libro sono intervenuti rispettivamente Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali Cei e don Paolo Padrini, parroco della diocesi di Tortona (Alessandria) e autore dell’app “iBreviary”. «Weca, fin dalla sua nascita ha portato avanti un prototipo innovativo di formazione digitale ma ha anche saputo trasformarsi e interpretarsi negli anni e questo volume lo dimostra, anche alla luce della pandemia», ha spiegato Corrado. «Riflettere, scoprire, condividere e pubblicare, le quattro parti del libro, le associo rispettivamente al cambiamento, all’ascolto, alla formazione e all’integrazione», ha sottolineato, «perché riflettono l’azione pastorale della Chiesa stessa». Un «capitolo zero, ma che poi emerge in tutto il volume» è stato infine fatto notare da don Padrini: «quello dell’accogliere». Per il sacerdote, infatti, «tutto parte dall’accoglienza della responsabilità che Cristo ci dà con il suo amore. Siamo responsabili del dono della comunicazione» e soltanto se «accogliamo la parola del Signore e la responsabilità di comunicarla allora poi possiamo passare a tutte le altre tappe». Infine, per comunicare bene - ha concluso don Padrini - «serve pregare, partire quindi sempre da Cristo e dal suo amore, sentirci spronati da esso».