Viva la pausa! Tempo sospeso in cui davvero si può dialogare
venerdì 8 dicembre 2023
Nel loro prezioso saggio sul silenzio (Del silenzio non si può tacere. Un viaggio nell’universo del silenzio, Franco Angeli, pagine 192, euro 25,00) Giuseppe Fabiano e Stefano Sinelli fanno riferimento a un «necessario atteggiamento di accettazione delle pause». Senza soffermarsi sul timor panico del silenzio che sempre più infesta frangenti - sociali, culturali, antropologici -, molto fa riflettere questo “rifiuto” della pausa, che sembrerebbe anch’esso, come l’altro timore, endemico, crescente, onnipervasivo. Le due cose, una nefanda incapacità di tacere, e un’istintiva resistenza ad accettare il valore vitale (perché rigenerativo) delle pause, sono strettamente legate. Nella pausa silenziosa si definiscono verità che nell’assidua, ininterrotta frequentazione (di persone, così come di idee) non possono stagliarsi. Non ne hanno lo spazio. Nel silenzio, invece, ogni cosa si definisce chiara. Tra le bellissime citazioni su questo ampio e magnifico tema, scelte da Fabiano e Sinelli a mo’ di lunga, polifonica epigrafe al loro saggio, spicca quella da attribuirsi non è certo se a Mozart o a Debussy: «La musica è il silenzio tra le note». Immagine sonora a esprimere stesso concetto per cui è durante la pausa di sospensione che più le cose parlano, si dicono. A sottolineare come sia in quel preciso momento di pausa, privo di attesa o di qualsivoglia aspettativa, solo concentrato sulla propria natura di pausa, che tutto più si delinea e prende forma. Non certo nel fragore generato dal sovrapporsi di echi di parole, presenze, interferenze.
Anche in una diversa cultura, quella orientale dello yoga, è contemplato e considerato analogo principio. Si parla di un preciso momento chiamato kumbhaka, e che indica stesso genere di interruzione. Kumbhaka corrisponde all’istante del processo di respirazione in cui si attende di espirare. È una pausa neutra e silenziosa, in cui la mente lascia affiorare ciò che conta, mentre nello svuotarsi si “pulisce”, così da affrontare con rinnovata energia i pensieri successivi. Quante pause sappiamo prenderci, quante pause vediamo gli altri prendersi, imporre, stabilire? Sempre poche, troppo poche. E quanto al contrario andrebbe meditato, insegnato, divulgato come nella pausa si trovi non solo la rigenerazione, anche il dialogo, nella sua espressione più autentica. Torna in mente Italo Calvino quando in Palomar, nel corso di una digressione sul fischiare dei merli, scriveva: «Dopo un po’ il fischio è ripetuto – dallo stesso merlo o dal suo coniuge – ma sempre come se fosse la prima volta [...] se è un dialogo, ogni battuta arriva dopo una lunga riflessione […]. E se fosse nella pausa e non nel fischio il significato del messaggio? Se fosse nel silenzio che i merli si parlano?». Come sarebbe bello, si potesse scegliere di dialogare in forma silenziosa, ci si affidasse al dialogare delle pause, tra le pause, nelle pause, e non in uno sterile, ininterrotto parlare. Un gesto di ecologia della mente e di tutela delle relazioni, per usare termini contemporanei. Migliorerebbe la qualità dei rapporti con gli altri e poi il nostro stato psico-fisico, lo spessore del nostro essere persone. © riproduzione riservata
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