Ulisse è un mito, e un archetipo. Il mito è quello dell’Odissea, di Omero, l’archetipo dell’eroe infatuato di conoscenza nasce nei versi di Dante, che nell’Inferno lo incontra, e tace, per rispetto, ascoltando parole leggendarie: «Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza».
L’eroe greco rievoca la perorazione con cui, dopo il ritorno a Itaca, convinse i suoi compagni a intraprendere un’avventura negata agli umani, oltrepassare le Colonne d’Ercole. Questi versi ne fanno eroe della sete di conoscenza e dello spirito avventuroso dell’uomo, ma indicano anche la natura di Ulisse, che, pur ammirato da Dante, è comunque lasciato nell’Inferno: consigliere fraudolento, grande retore, che sapeva usare la parola come nessuno.
E così fa anche in quel frangente: i compagni erano “vecchi e tardi”, paghi del ritorno. Ma l’Ulisse di Dante non è appagato di essere tornato a Itaca, a Penelope, all’origine, vuole andare oltre.
E convince i vecchi compagni a un’impresa che si rivelerà folle: giunti al confine del proibito, una visione, e poi inghiottiti dal mare.
Ulisse viaggia per conoscenza, oltre ogni limite. Dante sta facendo un viaggio infinitamente più profondo: ma non in nome della sua intelligenza, bensì grazie all’ispirazione e l’aiuto di Dio.
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