Se l'annata vitivinicola si presenta buona, aspettiamoci scarsità di funghi e tartufi. La sapienza contadina che viveva sull'empirismo torna d'attualità in questa annata caratterizzata da una siccità eccezionale, che vedrà schizzare in alto i prezzi dei preziosi frutti autunnali. In compenso l'uva è buona un po' ovunque. Così si legge nel rapporto di Assoenologi di fine agosto, dove il 20% del vigneto Italia è già stato vendemmiato, con un anticipo di due settimane rispetto al 2016. Ma la sorpresa è che non leggeremo più i titoli trionfanti che siamo il primo paese produttore di vino al mondo (in quantità), giacché la produzione subirà un calo del 25%, complici le gelate di aprile e i caldi mai visti di luglio e agosto.
Detto questo, il professor Attilio Scienza da giorni, prima sul seguitissimo sito Winenews, poi su altri mezzi di comunicazione, non ci sta al solito ritornello sulla vendemmia a cui siamo abituati in questa stagione. «La curiosità – dice – dovrebbe essere un'altra, ossia come affrontiamo il problema dei cambiamenti climatici, che non riguardano solo il breve periodo, ma sono destinati a perdurare». Il calo di produzione che si registra quest'anno, infatti, è più grave di quanto si possa pensare: «Le viti stressate – sottolinea Scienza – dopo quattro-cinque anni non producono più, quindi i cali saranno ancora maggiori se con si corre ai ripari». E lo Stato che fa? «Non c'è alcuna strategia nazionale per mitigare i cambiamenti climatici, al massimo si interviene pagando una parte della polizza assicurativa per mancato raccolto». Già, ma nel medio e lungo periodo? «Lo Stato dovrebbe investire nella genetica, quindi su nuove varietà di uva e su nuovi portainnesti. Del resto l'evoluzione variatele è sempre stata il frutto di processi climatici o di malattie della vite, oltreché di un cambiamento dei gusti». E in Italia abbiamo varietà con centinaia di anni e per di più un sistema delle denominazioni che ingessa ogni cambiamento. »Il grande salto lo si fa se c'è un progetto di miglioramento genetico, attraverso una rete di istituti di ricerca italiana, ma se aspettiamo lo Stato moriamo tutti», chiosa il professor Scienza.
Intanto i francesi hanno costituito un gruppo di ricerca per chiedere allo Stato di intervenire per rinnovare varietà e portinnesti. Noi invece rischiamo di passare anni e anche decenni a discutere sulle modifiche dei disciplinari. E leggi diventano gabbie, custodite da una politica che non ha più il respiro di un progetto, al massimo dice qualcosa sull'emergenza. Bene, siccome l'emergenza della vite in Italia è un dato acquisito, che si fa a Roma per correre ai ripari? Dalle Regioni si attendono illuminanti pressioni.
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