Sulla sua pagina Linkedin, Vandana Suri si descrive così: «Non accetta un no come risposta». E la sua vita è lì a dimostrarlo: studentessa brillante, poi giovane manager in una banca d’investimenti, oggi imprenditrice sociale per e con le donne in un Paese, l’India, non propriamente un paradiso per il sesso femminile.
L’idea per la quale è stata premiata nel 2019 dalla Banca Mondiale tra 1.200 concorrenti le venne quando seppe di un brutale stupro ai danni della giovane passeggera di un taxi in una metropoli indiana. «Ricordo che la vittima disse pubblicamente: se l’autista fosse stata una donna, tutto questo non mi sarebbe successo… Questa frase continuava a girarmi in testa».
Perché in India i trasporti pubblici sono insicuri e perfino pericolosi per le donne, tanto che il 91% di loro si dichiara spaventata quando deve usufruirne, e una delle soluzioni per abbassare il tasso di violenze su bus e taxi è, banalmente, che ci siano più donne al volante. Vandana Suri di quella intuizione ha fatto una ragione di vita: nel 2014 ha fondato Taxshe, una compagnia di taxi, con sedi a Bangalore e Delhi, che alla guida ha solo donne e che opera esclusivamente per il trasporto in sicurezza di donne che si muovono per lavoro, anche di notte ad esempio da o per gli aeroporti, e di bambini, per lo più nel tragitto da casa a scuola.
E d’altra parte, anche le autiste lavorano in una situazione di sicurezza, oltre che con modalità flessibili in base alle proprie esigenze. «In questi anni abbiamo formato 550 autiste di taxi o bus condivisi, e organizzato corsi di guida, l’altra nostra attività, per 1.200 donne - racconta Vandana Suri ad Avvenire, collegata via Skype dalla sua casa di Bangalore -. Il Covid ha rallentato tutto, abbiamo resistito pagando gli stipendi per 8 mesi. Per il prossimo anno scolastico, che in India si svolge da giugno a marzo, abbiamo contratti annuali con alcune famiglie per il trasporto dei loro figli da casa a scuola. Questo incarico coinvolgerà 25 tassiste. A gennaio, poi, riprenderemo i corsi per la patente. Il progetto è di arrivare a 100 allieve l’anno».
Il training, che comprende anche lezioni di auto-difesa, è finanziato da uno sponsor e l’acquisto del taxi da parte delle “diplomate” viene coperto con prestiti concessi dalle banche e garantiti da Taxshe, dal momento che alle donne, singolarmente, nessuno in India concede finanziamenti. «Le donne al volante sono oggetto di un vera e proprio stigma – continua Vandana – e noi lavoriamo giorno dopo giorno, un passo alla volta, perché questo pregiudizio, che preclude l’emancipazione e l’autonomia delle donne, sparisca».
Vandana Suri, una signora affabile con capelli a caschetto e grandi occhiali da vista, madre sola di un ragazzo, racconta di una giovane sposa, analfabeta, relegata in casa in un villaggio contadino da un marito-padrone. In famiglia c’era la necessità di accompagnare la suocera in città a vendere cibo tipico sulla strada. Lei ha deciso di farsi avanti, ha ottenuto la patente grazie ai corsi di Taxshe e ora guidare per conto di altri è la sua fonte di reddito e insieme la sua emancipazione. «Nel villaggio in cui vive è più famosa del primo ministro – sorride Vandana -: quando accompagna un corteo nuziale, la gente accorre per vedere lei al volante più che la sposa». Un’altra donna si dedica al trasporto di alunni: «Non è solo un lavoro di autista. È come una madre di riserva», spiega. Con le autiste di Taxshe, si legge nel sito, i passeggeri possono permettersi di schiacciare un pisolino.
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