Paolo Valesio (Bologna, 1939) è il titolare della cattedra "Giuseppe Ungaretti" alla Columbia University, ha fondato e dirige la Italian Poetry Review, ha pubblicato quindici libri di poesia, cinque di critica letteraria e due romanzi, senza contare le centinaia di saggi, articoli, poesie, in giornali e riviste. Un curriculum che può intimidire, in contrasto con l'affabile discorsività della nuova raccolta poetica Il volto quasi umano (Lombar Key, Bologna 2009, pp. 264, euro 18). Valesio chiama «dardi» le sue poesie, nel senso di frecce, ma anche, nel linguaggio devozionale, «giaculatorie». A dire il vero, queste poesie non hanno lo scatto e la traiettoria del «dardo»: restano confitte nella pagina da cui sono state scoccate, e non è una valutazione riduttiva. Sono propriamente fogli di un intenso diario (2003-2005), metricamente tendenti all'endecasillabo che è il verso meno dardeggiante (anche se il più naturale) della lingua italiana, al punto che Valesio, quando occorre, non esita a segnare la dieresi su un dittongo per arrivare alle undici sillabe: «Amore rima concettüalmente», «un dïalogo riconciliativo», oppure ricorre al desueto «offerivano» per raggiungere un settenario («le zingare offerivano»), o addirittura all'arcaico «sospenduto», anziché «sospeso» per completare l'endecasillabo («Tra la morte e la vita sospenduto»). Ma lasciamo perdere le pignolerie e confermiamo che è lo stesso poeta a confermare l'impronta diaristica quando afferma che il titolo, la dedica, il luogo e la data di composizione, l'eventuale nota a piede di pagina, fanno tutt'uno col corpo della poesia.
Nell'introduzione, un Davide Rondoni particolarmente ispirato azzarda il paragone vincente con Gaudì, che ha iniziato «la cattedrale fiorente di modernità sulla radice dell'antica fede: la Sagrada Familia». E, con pertinente lettura delle poesie valesiane, prosegue: «Valesio sta guardando nel bianco lattescente delle nebbie la differenza del cigno. Sta guardando le diverse tonalità del bianco. Sta fissando che figure ci sono, se ci sono, nel disegno dell'"arazzo iridescente". Sta guardando la differenza fondamentale: se Dio c'è, e dov'è». Perfetto. Infatti, il tema dominante dei fogli di diario di Valesio è proprio la ricerca di Dio o, meglio, la ricerca del modo di rapportarsi con il Dio della cui esistenza e presenza non si dubita. Ed è una ricerca che, inevitabilmente, si fa preghiera. Preghiera semplice, aspirazione di preghiera: «"Mi dispiace, mi spiace, mi dispiace"... /vale, come preghiera? /Lui vorrebbe sperare di sì /perché è quasi l'unica frase /che gli accompagna la giornata /apparendo a ogni sproposito. /pensata-sussurrata /rivolta a tutti " vivi morti assenti " /quelli che ha conosciuto». Ma anche, come nel Duologo dell'intimità (sì, duologo, non dialogo) che non osiamo trascrivere per intero, teologica contemplazione, Bastino due versi: «L'unica strada / è scavare Gesù sotto il Cristo».
Il libro è dedicato alla figlia Sara (1968-2008), a cui è rivolta una delle poesie più riuscite, Alla reclusa amata, datata 14 maggio 2003. La data spiega il metodo di lavoro di Valesio: indica il giorno in cui la poesia è stata concepita per essere poi soggetta a revisioni e riscritture. Dunque, il 14 maggio 2003 Sara era ancora in vita, ma il tempo ha dilatato la prospettiva e l'ispirazione, per arrivare a questa toccante conclusione: «Parlare l'uno all'altra /è impossibile ormai:/mi affido all'utopia " /vile o ardente non so " /della direttamente trasmissione /di pensiero a pensiero /ovvero alla preghiera orizzontale /traiettoria che unisce /gli esseri umani senza il verticale /eleva"mente a Dio /il quale ultimo /deciderà se accogliere o no /questa preghiera /in fondo alla sua rete».
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