Le nostre società sono ancora molto insensibili, perse come sono tra occultamenti incomprensibili e silenziamenti decretati non foss'altro che dall'indifferenza. Pensiamo al velo di invisibilità che stendiamo sui portatori di handicap. È come se non avessero nulla da dirci, o neppure avessero voce; è come se il loro dono non fosse complementare e indispensabile; come se potessimo essere umani (e non lo possiamo!) senza rapportarci con la loro realtà, inseparabile dalla nostra. C'è una forza enorme nella fragilità, che noi invece liquidiamo. Chi ha bisogno di aiuto, a sua volta aiuta. E dovremmo domandarci, ben più spesso di quanto abitualmente non usiamo fare, se quel che riceviamo nel gesto del dono non è assai di più di quanto diamo. Quando viviamo con persone disabili, impariamo nella pratica cose che prima sapevamo solo in astratto: il valore di ciò che è essenziale, la libertà dinanzi ai falsi bisogni che la macchina dei consumi ci propina, il senso meraviglioso e circolare della solidarietà, la bellezza indescrivibile di un incontro, di uno sguardo, di una parola. Dobbiamo forse ancora tirare le conseguenze, per esempio, di quella che è un'evidenza per chiunque legga i Vangeli: i disabili stanno al centro. E portano dentro il testo sacro il loro corpo, la loro ferita e desiderio, la loro solitudine e resilienza, il loro grido e la loro fede.
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