Nei riguardi del Vangelo, san Francesco visse come se la sua verità fosse effettivamente vera. Non si perdette in ermeneutiche, non la mitigò per renderla meglio digeribile, non ne diluì l’impatto nella soggettività. Né pensò a difendersi dalla trasformazione radicale che quella parola implicava. Ed è questo ciò che egli riversò nella Regola, la quale, racconta Bonaventura da Bagnoregio, fu accolta dalla Curia romana del tempo come «una cosa strana e troppo ardua per le forze umane». Ma è rimasto memorabile il consiglio che all’epoca diede Giovanni di San Paolo, vescovo di Sabina: «Se respingiamo la sua richiesta, come troppo difficile e strana, stiamo attenti che non ci capiti di fare ingiuria al Vangelo» dichiarando che esso è «impossibile da praticare». Abbiamo bisogno di tornare al Vangelo con la fede di Francesco, credendo che nessun’altra parola è più urgente, più innovatrice e necessaria. Il nostro tempo necessita di uomini e di donne che mostrino che il messaggio di Gesù non è solo da professare come un ideale, ma è da vivere nel concreto. Ora, questo non lo si fa senza una briciola di follia, e san Francesco ne ha piena coscienza. Egli stesso spiegò: «Il Signore mi ha detto che voleva che io fossi un novello pazzo nel mondo». Ma questa santa e creativa “follia” altro non è se non la scienza del Vangelo.
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