O Dio, asilo di chi è senza tetto, rifugio di coloro che fuggono, salvatore di coloro che si perdono, consolatore dell'afflitto e dell'infelice, tu hai pietà dei poveri, hai cura dei bisognosi, sei tesoro di chi nulla possiede. Tu guarisci i cuori spezzati, sei la guida dello smarrito, il difensore dei deboli, il protettore dei timorosi, l'aiuto di chi è in necessità, la fortezza di chi cerca riparo.
Non ricordo quando sia approdato tra i miei libri un volume francese, pubblicato però a Roma senza la data di edizione, intitolato Choix de prières musulmanes, scelta di preghiere dell'islam curata da P. Cuperly. L'ho ritrovato qualche giorno fa e mi sono imbattuto in testi di alta spiritualità. Ne propongo uno per questa domenica di dolore e di meditazione. Si tratta di una preghiera sciita, legata dunque a una corrente dell'Islam diffusa soprattutto in Persia.
Nello stile orientale s'accumulano i titoli divini quasi a costituire una litania. Unica è, però, la certezza: Dio è il padre dei sofferenti, dei miseri, degli ultimi della terra. Anche nel Salmo 146 si celebra il Signore così: «Egli rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri, ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto, ama i giusti, protegge lo straniero, sostiene l'orfano e la vedova». La condivisione della sofferenza, della sete, della solitudine e della morte da parte di Cristo è l'apice dell'amore di un Dio che non è un imperatore distante e impassibile ma è vicino alle sue creature, partecipe del loro limite, un Dio che è pronto anche a morire con noi e per noi.
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