Da alcuni giorni ha ripreso a circolare nell'infosfera ecclesiale la “parabola” dei due gemelli che, ancora nel grembo materno, disputano sulla «vita dopo il parto». Paolo De Martino, diacono e biblista, la riporta sul suo profilo Facebook ( bit.ly/32o5krb ) e riscuote in pochi giorni più di 2mila reazioni. Il canale YouTube “Sangabrieledol” la racconta attraverso un video ( bit.ly/3KBeQso ) che ottiene 10mila visualizzazioni. Una mezz'ora di indagine su Google mi dice che questo racconto gira in italiano almeno dal 2012; che è altrettanto noto, e da altrettanti anni, alla Rete anglofona e a quella ispanofona; che nel passa-parola globalizzato tutti registrano come autore un non meglio identificato «scrittore ungherese»; infine che la sua popolarità non è limitata a siti e blog cristianamente ispirati, ma è condivisa da ambienti digitali di altra o di nessuna ispirazione religiosa. Del resto, come premetteva il francescano Jesús Sanz Montes, arcivescovo di Oviedo, facendone, l'1 dicembre 2016, l'oggetto della sua lettera settimanale ( bit.ly/3nKTFKn ), il bombardamento quotidiano cui ci sottoponiamo attraverso i dispositivi digitali non è poi così negativo se può anche portarci una cosa «bella, simpatica e intelligente» come questa. Dove uno dei due nascituri «crede» in un'altra vita aldilà dell'utero, argomentando tale fede con ipotesi che l'altro ritiene «sciocchezze»; tanto più quando sente parlare della «mamma». «Io non posso vederla, quindi è logico che lei non esiste», dice, mentre per l'altro «è intorno a noi. Siamo circondati da lei. Noi siamo in lei. È per lei che viviamo. Senza di lei questo mondo non ci sarebbe e non potrebbe esistere». Trasparente l'analogia: tra i non nati e gli esseri umani, tra il parto e la morte, tra la mamma e Dio; e persino familiare ai cristiani, che parlano dei propri morti come dei “nati in cielo”. Davvero la speranza di una vita eterna è così radicata nel cuore dell'uomo che anche una parabola digitale è sufficiente a ravvivarla.
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