martedì 20 dicembre 2022
Non sarà facile per il Parlamento europeo, e per l’intera Ue, risalire la china della cattiva reputazione che lo scandalo denominato Qatargate sta diffondendo nell’opinione pubblica. Dentro il “virus” euroscettico, sempre presente in forma endemica in tante aree dei Ventisette, le foto dei sacchi di banconote riprodotte all’infinito nei giorni scorsi sembrano aver innestato una “variante” ancora più aggressiva e foriera di “infezioni” non meno minacciose. A cominciare dalla nuova linfa offerta ai pregiudizi nei confronti di politici e funzionari di alcuni Paesi in particolare, con la nostra Italia purtroppo ancora in prima linea. Pregiudizi che alimentano le divisioni e complicano ulteriormente il clima interno e la ricerca di accordi, come dimostra l’invettiva del premier ungherese Orbàn sulla “palude di Bruxelles da bonificare”. Ma c’è una conseguenza forse ancor più pesante che i vertici di quella belga e delle altre capitali devono temere: è l’immagine che il resto del mondo rischia di costruirsi di questa Unione, che da poco ha compiuto 65 anni di vita e che, pur nella sua fragilità, rimane un esperimento storico senza precedenti e, nonostante tutto, un possibile modello di convivenza e integrazione per altre regioni della terra. È un’immagine in negativo di tutti gli europei in quanto tali, uno stigma che li accomuni in un giudizio di avidità e di propensione al malaffare. Comportamenti per di più nascosti dietro proclami di superiorità morale dei principi democratici e dei presunti valori dell’Occidente più progredito. E si può immaginare quanto regimi autoritari e sistemi di governo alternativi e concorrenti possano sfruttare l’occasione offerta. Ecco perché l’impegno annunciato dalla presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola, di dar vita da subito a un serio piano anticorruzione, diventa cruciale. Il programma di interventi in dieci punti, sollecitato anche dai capi di Stato e di governo nel vertice di giovedì scorso, può rappresentare un’ultima spiaggia per il futuro dell’Unione. Un “decalogo” da redigere con rigore e da attuare con la massima serietà entro il mese di gennaio. Non si conoscono ancora molti dettagli su quali procedure e prassi si vorranno modificare nella vita dei parlamentari, ma le cronache anche solo recenti ne suggeriscono a iosa. È dei mesi scorsi, solo per fare un esempio in apparenza minore, la notizia che gli inquilini di Strasburgo non dovranno più mostrare scontrini e altri giustificativi, per le spese sostenute con una parte dell’indennità finora soggetta a verifica (anche se a quanto pare da tempo solo teorica). Sembra un dettaglio ma è indicativo. Se infatti l’obiettivo è la massima trasparenza, se le istituzioni europee devono essere realmente una “casa di vetro”, è giusto evitare zone d’ombra o altre opacità che possano celare cattivi comportamenti. E lo sforzo di visibilità non va limitato solo al Parlamento. Anche la Commissione deve spalancare al massimo porte e finestre, pur nel rispetto dei suoi doveri di riservatezza quando necessari. E sempre ad esempio, deve proteggere i suoi funzionari che segnalano irregolarità o contatti sospetti (i famosi “whistleblowers”), in passato oggetto di rappresaglie. In una realtà fatta di oltre 40mila dipendenti, alle prese ogni giorno con migliaia di lobbisti impegnati a tutelare gli interessi più disparati e contrastanti, le “porosità” e le zone critiche si sprecano. Il Qatargate può diventare una chance. © riproduzione riservata
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