Con un imponente volume di scritti filosofici, Attraverso il nichilismo, in cui estetica, letteratura, società e pensiero critico interagiscono continuamente, l'editore Aragno ricorda Tito Perlini, recentemente scomparso. Nella sua presentazione, Claudio Magris, che gli fu intimo amico, ricorda l'ethos filosofico di Perlini, il suo dèmone del capire e del conoscere, la sua saggia ma anche naturale capacità di tenersi lontano da qualunque equivoco palcoscenico massmediatico. Anche io, che per qualche anno gli sono stato collega all'Università di Venezia e compagno di chiacchierate filosofiche serali, ricordo la “naturalezza filosofica” di Perlini, il suo pensare criticamente senza forzature né esibizionismi funambolici, ma secondo i modi pacati di una instancabile passione dialettica. È stato in Italia uno dei maggiori, anzi il più fedele e preparato studioso di Lukács, Benjamin, Adorno e Marcuse e del rapporto fra visione utopica e critica sociale. Ha scritto contro il nichilismo, il relativismo e le loro origini occupandosi non solo di un marxismo fra eresia e ortodossia, ma anche di chi, come il filosofo cattolico Augusto Del Noce, coinvolgeva la critica al comunismo in una più generale critica della modernità, incapace di valutare i danni prodotti dalla perdita della Tradizione e della fede religiosa. Con Del Noce e con Max Horkheimer, il fondatore della scuola di Francoforte, Perlini si rendeva conto, scrive Magris, che «senza il confronto con le esigenze della fede […] non si può capire il mondo finito, concreto, storico, l'unico che si possa indagare razionalmente ma che rimanda alla propria insufficienza».La stessa razionalità, necessaria e irrinunciabile, è minata da un'insufficienza conoscitiva di cui, per fedeltà a se stessa, deve essere consapevole. La visione utopica e l'arte si presentano perciò in Perlini e nei suoi autori come una continua correzione del pensiero razionale, un nutrimento e un arricchimento, continua Magris, dovuti all'incontro con la «polvere del reale, della vita, delle accidentalità, in quel caos da cui bisogna sollevarsi ma senza alcuna pretesa di averlo superato per sempre». Come dice l'epigrafe del poeta René Char scelta da Enrico Cerasi per il suo saggio introduttivo, «Di che cosa soffri? / Soffro per il reale intatto dentro il reale devastato».
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