Milano, 2004 - La "Cattura di Cristo" è un Caravaggio riconosciuto come tale dalla critica da pochi anni, e che per secoli se ne era rimasto, ignorato, in Irlanda. In questo gennaio 2004 è a Milano. Me lo trovo davanti al Museo diocesano. Mi sbalordisce la potenza del male che vi è evocata. Dentro a una luce diaccia, luce da strada sinistra nella notte, pallidissimo è Cristo, nell'abbraccio di Giuda. Adunca la mano del traditore, che svela la verità della consegna ai carnefici. In quel buio infinito il giovane Giovanni fugge, la bocca spalancata in un grido muto. Le facce dei soldati romani sono nascoste dagli elmi: non ha un volto la violenza del potere, e chi uccide dirà sempre: abbiamo solo obbedito a un ordine.Ma è il braccio nell'armatura, che sconvolge: nero, lucente, feroce come la chele di un insetto predatore, braccio meccanico quasi, obbediente, indifferente esecutore di una sentenza di morte.Sono rimasta a lungo, davanti a questo Caravaggio strappato alle tenebre. Quel braccio di morte se ne stava nascosto, sepolto in un convento irlandese, nel secolo dell'Olocausto; ma portava già tutto in sé, come una profezia. È come se Caravaggio fosse stato davvero nell'orto degli ulivi, quella notte. E, testimone oculare, ce ne dicesse ancora il tradimento, e l'infinito dolore.
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