venerdì 7 luglio 2023
Ogni tragedia greca, nell’età d’oro del V secolo a.C. era opera di un poeta: era obbligatorio che fosse scritta in versi, e che trattasse esclusivamente temi elevati: le origini del mondo e dell’uomo, gli dèi, gli eroi, con una incessante domanda sul destino, sul senso ultimo della vita. La poesia quindi non si manifestava soltanto nella lirica, la sfera dell’io espressa da Saffo e dagli altri poeti a lei consimili, e non unicamente nel poema, dove i versi narrano una storia, sul modello di Omero con l’Iliade e l’Odissea Nasce anche la poesia che è scritta per il teatro, recitata da attori. Il poeta tragico, a differenza del lirico che fa parlare in prima persona la sua anima, come Saffo, o dell’epico, che racconta vicende di guerre e viaggio, come Omero, moltiplica la propria voce, la distribuisce in tanti personaggi: Agamennone, Clitennestra, Oreste, o altrove Prometeo e Io... Ciò che stupisce è che ad assistere alle tragedie non accorre una ristretta cerchia di poeti, filosofi, di intellettuali: tutta la città, tutta la polis. Il teatro di Atene, come quello di Siracusa, si riempiono di una folla di persone che vi si recano per assistere, per ore e ore, al dramma scritto da un poeta. Il teatro e i suoi versi non erano un lusso, erano necessari alla sopravvivenza. © riproduzione riservata
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