Vi sono situazioni in cui siamo messi alla prova. Situazioni difficili, pesanti, che ci fanno soffrire. Che mettono a nudo tutta la nostra fragilità perché non sappiamo come reagire. Ma come sempre Gesù ci mostra come affrontare «i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo, ma è abbandono fiducioso al Padre e alla sua volontà di salvezza, di vita, di misericordia». All'inizio della Settimana Santa Papa Francesco ci ha voluto ricordare il valore del silenzio e della preghiera nei momenti di maggior tribolazione, ossia quelli in cui «bisogna avere il coraggio di tacere».
Nel suo ingresso in Gerusalemme, ha spiegato Bergoglio, Gesù ci mostra quale sia la strada giusta, perché alla facile via del «trionfalismo», che «il Maligno» gli proponeva, «il Signore ha risposto rimanendo fedele alla sua via, la via dell'umiltà». Perché il trionfalismo illude ma non costruisce; esso «cerca di avvicinare la meta per mezzo di scorciatoie, di falsi compromessi. Punta a salire sul carro del vincitore. Il trionfalismo vive di gesti e di parole che però non sono passati attraverso il crogiolo della croce; si alimenta del confronto con gli altri giudicandoli sempre peggiori, difettosi, falliti...». Quello che dunque
Gesù sa benissimo è che «per giungere al vero trionfo deve fare spazio a Dio; e per fare spazio a Dio c'è un solo modo: la spogliazione, lo svuotamento di sé», ovvero deve «tacere, pregare, umiliarsi», perché «con la croce non si può negoziare, o la si abbraccia o la si rifiuta. E con la sua umiliazione Gesù ha voluto aprire a noi la via della fede e precederci in essa».
È il grande mistero che non arriviamo a capire. Perché per camminare su quella via non si possa evitare la croce, perché la fede debba essere scomoda. È vero, come diceva Papa Wojtyla «di fronte agli avvenimenti duri e dolorosi della vita, rispondere con la fede costa "una particolare fatica del cuore"». Questa, ha ricordato Francesco, è la «notte della fede. Ma solo da questa notte spunta l'alba della risurrezione». Tra le acclamazioni festose che accompagnano il suo ingresso a Gerusalemme, e l'accanimento feroce di cui è fatto oggetto nei giorni successivi, «è impressionante il silenzio di Gesù nella sua Passione, vince anche la tentazione di rispondere, di essere "mediatico". Nei momenti di oscurità e grande tribolazione bisogna tacere, avere il coraggio di tacere, purché sia un tacere mite e non rancoroso». La mitezza del silenzio «ci farà apparire ancora più deboli, più umiliati, e allora il demonio, prendendo coraggio, uscirà allo scoperto». Bisognerà resistergli in silenzio, mantenendo la posizione, ma con lo stesso atteggiamento di Gesù. Cristo è consapevole che «la guerra è tra Dio e il Principe di questo mondo, e che non si tratta di mettere mano alla spada, ma di rimanere calmi, saldi nella fede. È l'ora di Dio».
E nel momento in cui il Signore «scende in battaglia, bisogna lasciarlo fare. Il nostro posto sicuro sarà sotto il manto della Santa Madre di Dio». Certo, non è semplice, e la tentazione di abbandonarsi alla mondanità è sempre lì in agguato. Suadente e quasi persuasiva. Ma solo quel silenzio mite, disarmato, «ci aiuterà a vivere nella santa tensione tra la memoria delle promesse, la realtà dell'accanimento presente nella croce e la speranza della risurrezione».
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