giovedì 2 novembre 2017
Paginate sul centenario della Riforma tra realtà e leggende sulla vita movimentata di Martin Lutero e sul suo pensiero. Spiccano lunghissime acrobazie di non credenti che parrebbero insegnare ai credenti cosa è la vera fede cattolica, raccontando come vera fede anticattolica quella del riformatore e concentrando attenzione quasi ossessivamente sugli aspetti più pesanti del suo carattere e sulle evidenti forzature del linguaggio in certi “Discorsi a tavola”. In ballo, tuttavia, è il senso di “riforma”, che può voler dire, e nelle intenzioni spesso diceva, “conversione” per avvicinarsi meglio a Gesù Cristo, anche se talora gli esiti – e non vale solo per quelli del 1517 – sono stati diversi, e anche opposti. Qui (29/10, p. 24) leggo che «Per la Chiesa è sempre tempo di Riforma». In sostanza si tratta di vera “conversione” e la Evangelii Gaudium (n. 32) esprime doverosa volontà di «conversione del Papato». L'espressione sarebbe piaciuta, penso, anche a Lutero. Vale la pena di camminare così, però con due avvertenze spontanee. Leggo infatti (“Foglio” 31/10, p. 4) l'accusa dura alla “cena” evangelica perché non vi si trova l'affermazione letterale della «transustanziazione», come se la formula ispirata al linguaggio aristotelico – «sostanza e accidenti» – fosse una sola cosa con la fede in quanto tale. E allora ricordo che nella sua Misterium Fidei sulla Eucaristia (3/9/1965) Paolo VI parlò anche di «transfinalizzazione» e «transignificazione», e anche allora qualcuno, tra quelli che oggi protestano perché nella Chiesa Cattolica si fa memoria di quel 1517, provò ad accusare il Papa. E proprio a proposito di Papi ricordo che se Francesco ha detto «credo che le intenzioni di Lutero non fossero sbagliate», anche papa Benedetto a Erfurt nel 2011 elogiò la sua «fede» e «le sue ineludibili domande su Dio, quelle che in forma nuova dovrebbero diventare anche le nostre di oggi». Avanti verso l'unità indicata da Cristo!
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