Chissà perché gli esami di maturità mi ricordano quei giovani di Padova che hanno inscenato la guerra dello Spritz. Per le cronache lo Spritz è una bevanda semplice, nata nel primo dopoguerra: consisteva in un vino bianco addizionato con seltz e in seguito con una scorza di limone. Poi con l"andare del tempo, è stato "sporcato" da un goccio di Campari o di Aperol. Lo Spritz è sempre stato un prodotto povero, per gente che aveva pochi sghej in tasca. A Padova la moda è dilagata al punto che certi locali hanno iniziato a propinare Spritz con dentro qualsiasi cosa, fino a creare bevande immonde di 40°. Da lì il proliferare di ubriacature e schiamazzi notturni nel bel centro della città. Così le autorità hanno vietato di servire alcolici nei locali del centro dopo le 20,00. Ora, il proibizionismo non ha fatto altro che spostare il problema, magari con lo sponsor di qualche barista disonesto che anziché educare i giovani al gusto, pensava di marciare guadagnando su prodotti di bassa qualità. Nei giorni scorsi è intervenuto anche il vescovo, monsignor Antonio Mattiazzo, che è andato dritto al problema: i ragazzi vanno ascoltati. Già: dietro alla guerra dello Spritz spesso c"è la solitudine degli studenti, il problema della famiglia che non c"è, per cui figura come pura ipocrisia criminalizzare dei ragazzi, quando in fondo partono dal semplice desiderio di ritrovarsi in piazza. A Padova un prete, don Marco Pozza, è stato battezzato dai giornali don Spritz. Il motivo? Dialoga coi giovani, ma soprattutto propone momenti di ascolto e di confronto. Giorni fa erano in seicento ad ascoltare Giulio Andreotti che parlava di fede. È un esempio di come le battaglie si possono anche superare. Bisogna mettersi in gioco, facendo balenare che al mondo, c"è amicizia, bellezza, gusto (e anche uno Spritz può essere fatto bene).
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