Gloucester: «Il sospetto alberga sempre nelle menti dei colpevoli. Il ladro teme che ogni cespuglio sia uno sbirro».
Re Enrico: «L'uccello che si è invischiato una volta in un cespuglio, comincia a dubitare, con le ali tremanti, di ogni altro cespuglio che vede».
Vi ricordate quando in televisione o alla radio proponevano in prima serata (sic!) opere teatrali e non mancavano coloro che si lasciavano catturare da quelle trame spesso solenni, dai linguaggi nobili, dai personaggi tragici per infamia o per grandezza? Sembra di parlare di un altro pianeta o di un'altra era, eppure questo accadeva quaranta, trent'anni fa e molti lettori della mia età hanno questo ricordo, così stridente con le prime serate televisive attuali. Ho voluto ripescare un dramma poco noto di Shakespeare, forse il primo da lui composto, l'Enrico VI, e lo sto leggendo (ma è tutt'un'altra cosa che "assistervi"!). Nella terza parte, atto quinto, scena sesta m'imbatto in questo dialogo tra il re e il signore di Gloucester.
Il tema è quasi "dipinto" attraverso il ricorso all'immagine del cespuglio che atterrisce il ladro e l'uccello. Il sospetto è, infatti, spesso un incubo irreale che può avere, però, una radice vera. Se, infatti, si è in pace con se stessi e con gli altri, si è più sereni e fiduciosi. «Per chi ha paura tutto fruscia», esclamava Sofocle. Certo, esiste un tasso di sospettosità che non è solo fisiologica ma anche necessaria perché impedisce l'ingenuità. Ma non si può vivere, come talora accade ai nostri giorni, con la spada sempre sguainata e con la diffidenza nei confronti di tutti e di tutto.
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