mercoledì 8 ottobre 2003
Il commediografo irlandese George Bernard Shaw, distratto e bisbetico, viaggiava un giorno su una ferrovia secondaria, nei dintorni di Londra. Arriva il controllore. Shaw si fruga le tasche, ma il biglietto non salta fuori. «Va bene lo stesso - fa il controllore che
ha riconosciuto il celebre scrittore - l'avete smarrito». «Andrà bene per voi, giovanotto - replica Shaw - ma io come faccio ora a sapere dove sono diretto?». Trovo questo apologo nel libro di P. Vibert intitolato Celebrare i funerali con persone lontane dalla Chiesa (Elledici) e il suo significato all'interno di un'opera apparentemente remota rispetto all'episodio narrato sta nel titolo ad esso imposto: "Viaggiatori dimentichi della meta". Ed è proprio in questa linea che anche noi riproponiamo la sbadataggine del celebre scrittore inglese, nato a Dublino nel 1856 e morto in Inghilterra nel 1950. Mai, infatti, come in questi tempi sappiamo tutto sul come e sul quando delle cose, sulle mode e sui modi di vita ma ci disinteressiamo del perché e del senso ultimo dell'intera esistenza. Mai come ora si vive "alla giornata", cogliendo fiori, pungendosi con le spine, ridendo e soffrendo, così come capita. Non si ha tempo di fermarsi e di interrogarsi: qual è la meta che mi attende? Che senso ha tutto quello che faccio? C'è un valore superiore a cui merita sacrificare le cose che accumuliamo? Che significato hanno per me la vita e la morte? Le terribili parole di un altro scrittore inglese, il poeta Eliot, diventano un monito: «Nascita, e copula, e morte,/ tutto qui, tutto qui, tutto qui,/ nascita, e copula, e morte./ E se tiri le somme, è tutto qui».
Per molti la vita è solo questo ed è per questo che essi evitano di guardare in profondità, di interrogarsi. Sarebbe solo una sorgente di paura. E, invece, è proprio da quelle domande che sboccia la sapienza del cuore.
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