mercoledì 9 marzo 2016
Nella catechesi di mercoledì 24 febbraio, Papa Francesco ha commentato l'episodio della vigna di Nabot, narrato nel capitolo 21 del primo Libro dei Re, per deplorare l'arroganza dei ricchi e dei potenti.La storia è nota. Acab, re d'Israele, voleva acquistare la vigna di Nabot, confinante con i suoi possedimenti, per farne un orto. Era disposto a pagare il prezzo o alla permuta con un'altra vigna. Ma Nabot si rifiutò: «Mi guardi il Signore dal cedere l'eredità dei miei padri». Per gli ebrei, infatti, la terra faceva corpo simbolico con la tradizione familiare. Acab ne fu profondamente contrariato, al punto da rifiutare il cibo. Entra in scena Gezabele, la perfida moglie del re, che assolda due falsi testimoni che accusano Nabot di bestemmia contro Dio e contro il re. Nabot viene lapidato, e Acab prende possesso della vigna. Il profeta Elia rimprovera il re e predice una fine ignominiosa a lui e a Gezabele. Acab fa penitenza, e la profezia viene aggiornata: la sciagura non cadrà sul re, ma ne colpirà il figlio.Il Papa ha parole durissime: la storia di Nabot «non è una storia d'altri tempi, è anche storia d'oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, sfruttano la gente». E incalza: «È la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e col salario minimo per arricchire i potenti. È la storia dei politici corrotti che vogliono più e più e più!».Francesco dà anche un consiglio bibliografico: invita a leggere il veemente trattatello che sant'Ambrogio ha dedicato a Nabot. Per felice coincidenza, il testo di Ambrogio è in libreria col titolo La vigna di Naboth (qui il nome ha l'"acca" che la Bibbia Cei omette), a cura di Maria Grazia Mara (Edizioni Dehoniane, Bologna 2015, pp. 136, euro 13,50).Le invettive di Ambrogio non ammettono repliche: «Voi ricchi desiderate possedere una cosa non perché è utile, ma perché volete toglierla agli altri. Siete preoccupati più di spogliare i poveri che non di arricchire voi stessi: la sentite come un'offesa fatta a voi se il povero ha qualcosa che vi sembra degno di essere posseduto da un ricco». Il santo non interviene sul diritto di proprietà, ma esorta i ricchi a mettere a disposizione dei poveri le proprie ricchezze in nome di quella che oggi chiameremmo la "destinazione universale dei beni".Nell'ampia e ricca Introduzione, la curatrice si sofferma su un dubbio che anche Ambrogio probabilmente aveva avuto. Infatti, la profezia di Elia che, dopo la penitenza di Acab, avrebbe fatto ricadere la sciagura sul figlio e non su Acab, sembrerebbe smentita dal seguito della vicenda. Infatti, in seguito Acab fu indotto a una dissennata guerra contro il re della Siria, trovandovi vergognosa morte. Dio avrebbe dunque cambiato parere?Ambrogio si rende conto della difficoltà e avanza alcune ipotesi. Sarebbe stata Gezabele, che Ambrogio definisce «micidiale ingordigia fatta persona», a far recedere il marito dal proposito di penitenza: ma l'ipotesi non ha fondamento scritturistico. La punizione, in un'altra ipotesi, sarebbe sopraggiunta perché «Acab non ha ascoltato il profeta che gli chiedeva di indebolire la forza siriaca sostituendo al re di Siria degli amministratori fedeli a Israele». È un'ipotesi che forza un po' la versione della Bibbia dei Settanta, e che Mara storicizza ai tempi di Ambrogio: «Acab sarebbe Valentiniano II, Gezabele sarebbe Giustina, Nabot sarebbe Ambrogio, la vigna sarebbe la Chiesa (non solo la basilica), da non cedere, perché è patrimonio dei padri».Tutto ciò è molto interessante, purché le sottigliezze dell'esegesi non velino il contenuto del messaggio, cioè la necessità del distacco dalle ricchezze, da mettere al servizio dei poveri.
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