martedì 27 settembre 2016
Man mano che il tempo passa, sento maggiormente il verso neotestamentario che parla dei gigli dei campi e degli uccelli del cielo. Ho visto troppe volte raccogliere verdura appassita e frutta ammaccata nei dopo-mercati. Mi pare un salmo moderno di lode e gratitudine per il cibo qualunque esso sia, ma anche un carnevale buono sulla noblesse degli acquirenti con il mento all'insù. I mercatini, con i loro svariatissimi colori, sono degli eden per tutte le borse, fra canti a squarciagola, strilli inopinabili e isolati battiti di mani, in questo teatro che rappresenta la commedia della vita. Preferisco il mercatino a Shakespeare e a Pirandello, il suo sonoro ad un concerto in abito da sera. Una volta la settimana, con buona pace del Carnacina e suoi consanguinei, di giovedì in una piazza, che da secoli è soprannominata "piazza dei maiali", compro un kg di sardine. È il bel pesce azzurro che citano i dietologi, perché non dà colesterolo ma che un po' ci si vergogna di acquistare, stazionando davanti alla relativa gravida bancarella, causa il suo modesto prezzo. Lo mangiamo fritto, con qualche amico ospite, prendendolo, ognuno, direttamente dal piatto centrale. Dico, ma quasi me ne convinco, d'averlo pescato nel lago di Tiberiade.
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