La differenza fra un uomo rispettabile e un uomo onesto sta nel fatto che quest'ultimo rimpiange di aver compiuto un'azione indegna, anche quando essa ha dato buon frutto e lui non è stato scoperto.
È stato un americano residente a Milano da anni e lettore della mia rubrica a regalarmi tempo fa la raccolta dei volumi dei Prejudices che lo scrittore e giornalista statunitense Henry Louis Mencken pubblicò tra il 1919 e il 1927. In essi, infatti, avrei potuto trovare spunti per il "Mattutino". Dal quarto volume di quei "pregiudizi" estraggo oggi questo attacco vigoroso contro ogni ipocrita rispettabilità (non bisogna dimenticare che lo scrittore aveva di mira gli stereotipi mentali e moralistici e il fariseismo puritano di allora). La sua distinzione tra uomo rispettabile e uomo onesto è inesorabilmente confermata nella storia, a partire dalla parabola del fariseo e del pubblicano. Vorrei, però, mettere l'accento su un altro aspetto significativo.
La vera moralità si misura proprio nel tempo del successo. In quel momento, infatti, è facile essere tentati di considerare la fortuna come ricompensa divina (si ricordi la "teoria della retribuzione" già presente nell'Antico Testamento secondo la quale il delitto è sempre punito e la giustizia sempre premiata). In tal modo, si mette la sordina sui mezzi adottati, si stende un velo sui compromessi a cui si è andati incontro, si tende a giustificare ogni violazione della correttezza e della stessa morale. È per questa via che si possono avere anche "i primi posti in sinagoga", per usare una famosa locuzione di Gesù, ma si è destinati a diventare «gli ultimi nel Regno di Dio». Sì, perché uomo rispettabile e uomo onesto non sono necessariamente sinonimi.
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