L’idea era venuta a una delle ex studentesse del vecchio liceo: perché non cercare gli indirizzi dei compagni e vederci una volta tutti? Senza fermarsi ad immaginare che si metteva assieme un numero più vicino ai secoli che agli anni, si trovarono gli indirizzi di venti persone e ad ognuno venne inviato un cartellino da applicarsi al bavero con nome e cognome. L’incontro fu in un bar del centro. Le donne, tutte, avevano passato le prime ore del mattino dal parrucchiere, qualcuna dall’estetista. Gli uomini (in numero minore rispetto alle signore) avevano rifatto la barba all’ultimo minuto e avevano scelto le scarpe migliori. La scena allora si presentava così: chi dal taschino, chi dalla borsetta toglieva gli occhiali e leggeva il cartellino dell’ignota persona che gli stava davanti, poi esplodendo in un grido di gioia diceva: «Carissimo, carissima, sei sempre uguale!». Sorrisi di compiacimento e congratulazioni per la buona manutenzione, per una giovinezza mai appassita, e ripetuti: «Mio caro ti avrei riconosciuto ovunque», «Anche tu sei sempre la stessa, come fai?». Inchini, qualche incerto abbraccio mentre si pensava: «Chissà chi è davvero questa qua». Il bello doveva ancora venire, perché quando tutti cominciarono a raccontare i propri ricordi ci si accorse che i nomi delle strade, degli amici erano stati drasticamente cancellati dalla memoria. Allora la conversazione, sempre di tono alto per farsi sentire, fu press’a poco questa: «Ti ricordi di... sì, di quella che stava al secondo banco e aveva i capelli rossi, mi pare... No, non erano rossi, ma neri, sì ma abitava in piazza. Sì certo che la ricordo, aveva un nome strano, era... beh non importa, mi pare che ha avuto 3 o 4 figli. Ma no ti sbagli, non si era sposata dopo che lui l’aveva lasciata. Tesoro ,ti confondi con un’altra. Ma figurati, io l’ho vista qualche tempo fa in vacanza al mare. Dove? Sai dove c’è quella torre alta, quella inglese.. Ma certo, lo so anch’io. Be’, ciao, è stato bellissimo, vediamoci l’anno prossimo». Ma il pensiero recondito era: non mi peschi mai più. La memoria è la prima cosa che si appanna con l’arrivo della terza età. Quando si può dire di essere entrati in quell’età tanto diversa per ognuno di noi? Mio padre, quando nel 1942 lavorava alla Biblioteca Vaticana, scriveva: «Inverno lungo; per la prima volta sento gli attacchi dell’età e mi spavento degli anni perché tutti, parlando di altri sessantenni, dicono spesso: è uomo finito, troppo vecchio. La guerra si allunga e pare una galleria infinita, sotto la montagna... Sentirei il bisogno di raccogliere la mia eredità spirituale, valorizzare per gli altri la mia esperienza, scrivere, ma il tempo mi manca». E finiva assieme a D’Annunzio: «Estate, estate mia, non declinare!».
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