Si legge di tutto in quest'ultima settimana di Avvento, tranne qualcosa che entri nel merito del 25 dicembre. O meglio: il merito è spostato, modificato, deturpato e riguarda più l'abbuffata a tavola che il motivo per cui ci si ferma. Ci si ferma perché è un diritto. E se paradossalmente si abolisse il Natale, c'è da scommettere che i primi a protestare sarebbero i sindacati. Anche la politica ha la psicosi dell'atteggiamento corretto, per cui i luoghi pubblici mettono l'albero, ma guai ad azzardare il presepe. Leggiamo che negli Usa i giovani sarebbero diventati più virtuosi: meno alcol e fumo. E il commento che segue è che tutto ciò accade grazie al tempo che passano ai videogiochi. A quando una legge sul gioco, così guadagnamo in salute? La cosa stupefacente è che non si mette più in conto il fattore umano, ma tutto è un meccanismo dove qualcuno ci guadagna (i venditori di videogiochi per esempio). Difficile pensare a un movimento di pensiero che, rispetto al passato, ha più a cuore quello che chiamiamo sostenibilità, pulizia, stile di vita. La vita è un dono: è il messaggio profondo del Natale, dove l'apice è rappresentato da un Dio che si è fatto uomo. E ha messo in movimento l'umano, il senso di amicizia e amore partendo dal nucleo di un uomo e una donna, che creano una famiglia. È un fatto, che dice dove risiede il culmine dell'amore, sublimato dall'azione di Dio. Può essere contro qualcuno o qualcosa tutto questo? Eppure la rincorsa è ad offuscare ogni cosa, magari attraverso quello stress da festa, che in questi giorni porta i titoli dei giornali a spiegare come smaltire gli eccessi da salamelle e panettoni. È diventato uno stress anche il pranzo di Natale, si legge sempre sui giornali, e un esterno che vede questa realtà avrà un'immagine simile alla torre di Babele: ci si distrugge col nostro stesso benessere. E nessuno dice nulla di fronte a un paradosso evidente. Il pranzo di Natale dell'abbuffata è diventato anacronistico, ancor più quando fra gli invitati c'è qualcuno che ha maturato patologie, magari legate all'alimentazione. Ma c'è anche chi ha fatto la scelta vegetariana e magari è costretto a fare outing pubblico con seguito di battute davanti a una cappone ripieno. La forma esige che si mangi tanto, incuranti di chi ci sta accanto. Per questo abbiamo lanciato una provocazione ieri a Milano: e se portassimo in tavola più frutta e verdura? La mela della Valtellina, la pera mantovana, la zucca della pianura lombarda? Non è solo questione di alternativa, ma di pensare che il cibo dev'essere qualcosa che unisce, sapendo che il motivo di un ritrovarsi è un esercizio umano. Capace di evocare lo stesso amore di chi ci ha voluti. Ritrovarsi è partecipare a quella vita che 2.000 e più anni fa è diventata un segno.
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