La città di Sassuolo è famosa non solo per essere la capitale delle piastrelle in ceramica e per la simpatia della sua squadra di calcio il cui presidente è Giorgio Squinzi (Confindustria), ma anche per i personaggi a cui ha dato i natali: da Caterina Caselli a Pierangelo Bertoli, a Filippo Neviani (in arte Nek, vincitore morale del festival di Sanremo 2015), per cominciare dai cantanti; e di Sassuolo sono anche Vittorio Messori, l'ex ministro Giuseppe Medici, il vescovo di Brescia Luciano Monari, per non parlare del cardinale Camillo Ruini.Cittadino illustre, anche se forse meno noto, di Sassuolo è Emilio Rentocchini (1949), poeta. Un poeta davvero singolare, poeta-poeta, che scrive ottave ariostesche in dialetto sassuolese. Lo tengo d'occhio fin da Segrè (1998) e dalle garzantiane Ottave (2001), mentre meno convincenti mi sono sembrate le prose di Ovviare alla bellezza (2012). Adesso che tutta la produzione (che brutta parola) poetica di Rentocchini è riepilogata in Lingua madre (Incontri Editrice di Sassuolo, pp. 296, euro 14) si resta stupefatti. 256 ottave in sassuolese, debitamente tradotte in italiano: nella metà superiore di ogni pagina c'è l'originale in vernacolo (otto endecasillabi in rima ABABABCC), nella metà inferiore a traduzione italiana nello stesso corpo tipografico, quasi a sancire che la poesia rentocchiana regge anche come poesia italiana, anche se, inevitabilmente, in italiano il gioco delle rime deve appoggiarsi a qualche assonanza.Il bello è che, come dice il titolo Lingua madre, la ricerca di Rentocchini è innanzitutto linguistica, è lavorìo sulle parole per esprimere la vita: «Una lingua che non cresce mica, che si consuma/ nelle cucine vedove, ai letti dei vecchi,/ buona a nominare solo ciò che sta sfumando/ dietro la luce, nell'argento degli specchi...».E, sotto l'esergo di una frase di Maria Callas («La musica continui a pulsare anche attraverso le pause»), leggiamo: «Fa' caso alle pause perché lì si condensa/ in quel finto silenzio, in quel respiro/ più lungo, disteso, in quel sapore d'assenza/ ciò che le parole perdono ad ogni giro/ di frase e l'aria sostiene, incensa/ così di brusii, di pieghe appena da aprire/ l'intenta attesa, in tinta eppur diversa:/ reticolato e insieme il cielo che lo attraversa».Cito in italiano, e ormai ho capito che il sassuolese di Rentocchini è come una lingua sconosciuta (sumerica, ugrofinnica) che non conosci ma che ti attira e a cui, attraverso la traduzione quasi risali. Con onomatopee che, anche in italiano, esprimono cadenze metafisiche: «Faresfarsi faresfarsi faresfarsi farsi/ disfare dormire svegliarsi: verbi ma/ senza azione, verbo che non si fa carne, perso/ chiacchierare, cantone; ecco dove sta/ l'unica nostra vita, un sognare/ dietro gli occhi di essere, di stare per, stare facen.../ Chi ci crede? buio con traveggole, solaio/ di odori confusi, scale che tacciono qualcosa». E la metafisica di Rentocchini costeggia il nichilismo, ma sfocia in vita: «Semplice o doppia la vita va aderente/ al niente che la rinnega e così diventa».Bisogna proprio andare a Sassuolo (che non è poi tanto lontano) per trovare un poeta, e anche per scoprire un pittore che non conoscevo, Luigi Tagliavini (Sassuolo, 1938-2005), del quale nel controfrontespizio è riprodotta una tela épostouflante: una bassa fontana senza getto d'acqua, addossata a un muro ricoperto di Vite canadese (Ampelopsis) le cui foglie sono dipinte a una a una, con effetti di rilievo in chiaroscuro, in un'aura stupefatta di silenzio. Un particolare, in tondo, è sull'elegante copertina nera di Lingua madre, un libro impossibile da dimenticare.
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