Più volte anch'io, su queste pagine, ho sottolineato come questo sia il vero confine meridionale d'Europa, caratterizzato da dinamiche di sicurezza che riguardano il nostro continente e l'Italia. In Sahel ci troviamo infatti in un territorio altamente instabile dal punto di vista politico e sociale ed estremamente povero dal punto di vista economico. Condizioni ottimali per gli estremismi di matrice jihadista, spesso associati ai movimenti di insorgenza locale, cui si aggiungono i flussi di traffici illegali di ogni natura che giungono sulle coste nordafricane a poche centinaia di miglia dall'Italia e dall'Europa, con riflessi sulla nostra sicurezza…
Così, tra l'altro, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini nella lettera al direttore del quodiano "il Foglio", del 4 febbraio scorso. Ringrazio l'amico e compagno di viaggio Turi Palidda per avermi inviato copia della lettera. I commenti alla quale potrebbero essere molteplici, ma ciò che vorrei semplicemente rilevare parte da una serie di domande elementari. Quanto tempo, il ministro Guerini, ha passato nel Sahel per ritenere di poter di usare formule trite e ritrite di strategia per questo spazio d'Africa? Di quali pensa di avere il diritto di parlare e su quali di decidere? Quando scrive di«riflessi» sulla «nostra» sicurezza», si riferisce a chi? Chi dà, al ministro della Difesa italiana, con la Costituzione che l'Italia si è data, un mandato per operare in Niger come fosse a casa sua? E infine, la domanda delle domande: quando il nostro discutere "geopolitico" germinerà finalmente da un umile ascolto della realtà e delle priorità dei popoli che si presume di incontrare e di servire?
Difficile rispondere con "Gli occhi dell'Occidente", titolo del noto romanzo d'inizio Novecento di Joseph Conrad. Il punto centrale e cruciale della lettera in questione è proprio questo: con "gli occhi dell'Occidente" leggiamo la storia, la politica, l'impegno dei militari, gli investimenti, le ambasciate e, naturalmente, i progetti di sviluppo. Con "gli occhi dell'occidente" fissiamo le priorità, decidiamo le tabelle di marcia forzata allo sviluppo, confischiamo la sovranità e la dignità dei popoli, imponiamo o consigliamo governi, prodighiamo direttive e aiuti alle fragili e tropicalizzate democrazie saheliane…
Quanto tempo hanno passato nel Sahel i ministri italiani e degli altri Paesi europei? Qualche ora, qualche giorno, con le autorità locali (sensibili ai soldi dell'Occidente), col personale dell'Ambasciata (a cui non vengono neppure forniti mezzi per assicurare un servizio consolare), coi militari italiani sul posto (che assicurano formazione tecnica ai militari locali e non mancano mai di offrire regali umanitari a istituzioni locali).
Chi scrive, nel rispetto dei diversi ruoli e competenze, ha il diritto di parola che l'Africa e il Sahel gli hanno dato perché da loro si è gradualmente lasciato "colonizzare"! In Costa d'Avorio fin dal 1976, in alternativa al servizio militare come geometra, come missionario poi fino al 1991 al servizio dei giovani, in Argentina accompagnando il cammino degli abitanti delle Villas Miseria di Cordoba per alcuni anni, durante la guerra per sette anni in Liberia e infine "insabbiato" in Niger, per un servizio ai migranti dei quali nessun ministro neppure parla, ormai dall'aprile del 2011. La differenza e il diritto di parola stanno tutte negli occhi…
dal Sahel, domenica 13 febbraio 2022
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