Nel vasto romanzo Una stagione russa (Bompiani) Ludmila Ulitskaya ha scritto due o tre anni fa una considerazione che mi ha colpito al punto di trascriverla: «Strana incomprensibile legge, al senso di colpa sono sempre inclini i più innocenti». Leggo questa frase in senso morale e fin religioso, pensando a quanti hanno avvertito a un certo punto della loro esistenza un sentimento di colpa per come vanno le cose del mondo, di fronte alla fame degli uni e alla sazietà degli altri, alla bontà degli uni e alla bellicosità degli altri. Si dovrebbe, credo, considerare il senso di colpa per come vanno le cose del mondo una molla possente che spinge a cercare di rimediarvi con le misere forze individuali o di gruppo. La celebre frase di Camus, «mi ribello dunque siamo», spinge dall'individuale al collettivo, ma parte pur sempre dall'individuale. Tra il senso di colpa e la non-accettazione del mondo così com'è c'è un rapporto molto stretto. Ci si ribella per l'ingiustizia che si subisce sulla propria pelle, ma anche per quella che si vede fatta ad altri, subita da altri. Il senso di colpa è in questo caso una spinta all'azione, e guai a non averne! In una vecchia e fondamentale antologia di Freud, preceduta da un suo limpido saggio, redatta nel 1959 per la Boringhieri da Cesare Musatti (che fu psicanalista e uomo di grande valore) e che spero sia ancora in commercio, c'è un capitolo che mi ha colpito molto, "I delinquenti per senso di colpa". Studiando i suoi pazienti Freud scoprì che certi delinquenti trovavano «un sollievo psichico» nel compiere male azioni, nel latente desiderio di venirne puniti. L'origine dei sensi di colpa, diceva, nasce dal complesso di Edipo, dal desiderio di uccidere il padre e possedere la madre, e varrebbe la pena, dice ancora Freud, di tener conto di questo al momento di giudicare i "delinquenti", distinguendoli da quelli che sensi di colpa non hanno, «illuminando vari punti oscuri nella psicologia del delinquente e fornendo un nuovo fondamento psicologico alla pena». In letteratura, si pensa irresistibilmente a tanti personaggi di "delinquenti" di Dostoevskij, in particolare a Delitto e castigo, ma si pensa anche all'innocente Aljoscia dei Karamazov. Ma quanti dei nostri giudici e pubblici ministeri ha letto Freud e Dostoevskij? Oggi il senso di colpa sembra del tutto assente nella piccola parte di umanità che opprime, manipola, sfrutta la stragrande parte dell'umanità, nei Putin come nei Trump e negli alti funzionari delle multinazionali e della Banca Mondiale, ma più in generale dovremmo oggi parlare di assenza di un super-io non frigidamente egoistico e sì, di ceto, in coloro che presiedono al movimento della storia. La breve citazione di Ulitskaya mi ha richiamato alla mente i versi di un vecchia canzone napoletana: «Ma comm'è strana 'a vita, / chi soffre ha dda pava'».
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