Bisogna essere giusti prima che generosi, come si hanno le camicie prima di aver dei pizzi.
Perdersi nei particolari, lasciando svanire la sostanza: è un po' questa la prima lezione che ci offre il motto che recupero dalle Massime e pensieri dello scrittore settecentesco francese Nicolas de Chamfort, un lucido fustigatore della corruzione della società del suo ma anche di ogni tempo. Lezione significativa anche ai nostri giorni in cui il trucco che imbelletta e trasfigura i volti diventa l'emblema di una serie di inganni, per cui ciò che è secondario assurge a meta ultima. Si è più preoccupati del pizzo ornamentale rispetto alla camicia che possa coprire veramente. Si è persa la scala corretta dei valori e il primato è assegnato a realtà marginali e, non di rado, persino inutili.
C'è, però, una seconda lezione nelle parole di Chamfort ed è il naturale corollario della prima. La morale consiste non solo nel distinguere tra bene e male, tra giusto e perverso, tra vero e falso, ma anche nel saper risolvere i conflitti tra i valori, assegnando loro la corretta collocazione sia nel progetto generale sia nella concretezza dell'esistenza. Così, la giustizia ha un primato che dev'essere rispettato senza che si traligni lungo due versanti antitetici. Da un lato, quello di una giustizia rigida e crudele, implacabile e astratta, incapace di tener conto dei contesti e delle attenuanti. D'altro lato, l'eccesso di una tolleranza che rende indifferenti le scelte, corrivo il giudizio e fa della generosità un alibi per il permissivismo. Per questo è necessario avere quella dote naturale che è il criterio e quel dono spirituale che è la sapienza, «lo spirito di sapienza e di intelligenza, di consiglio e di fortezza» (Isaia 11, 2).
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