POCHE COSE
Meglio sapere poche cose, ma belle e necessarie, che moltissime cose di poco conto e inutili.
Nel 1906 Tolstoj, il celebre scrittore russo, decise di pianificare un suo Ciclo di lettura, selezionando testi veramente necessari (tra i quali pose subito il Vangelo). Annotò, allora, in apertura questa sua frase, accompagnandola con alcune citazioni di autori diversi, tra i quali il filosofo inglese John Locke (1632-1704) che osservava: «Siamo una specie ruminante e non basta che ci imbottiamo con una quantità di libri: se non ruminiamo e digeriamo per bene tutto quello che abbiamo ingerito, i libri non ci daranno forza e nutrimento». In verità ai nostri giorni non si corre il rischio che ci si «imbottisca con una quantità di libri».Adesso è piuttosto la comunicazione informatica a offrirci un immenso paniere colmo di ogni dato, dai peggiori cascami fino alle perle, in una confusione totale che genera relativismo, disorientamento e scompiglio mentale e morale. È, dunque, indispensabile ritornare all'esercizio critico, al vaglio, alla selezione, individuando innanzitutto le «poche cose, belle e necessarie». Solo così si alimenta lo spirito, si trova una lampada che guidi il cervello e il cuore, si diventa capaci di accrescere la conoscenza anche con le cose secondarie. Questo metodo è purtroppo spesso assente, a partire dalla scuola e il risultato è ben espresso dall'antica sapienza ebraica che così ritraeva il duplice esito, attestato a ogni livello sociale anche ai nostri giorni: «Il sapiente sa quel che dice, lo stupido dice quel che sa».
Nel 1906 Tolstoj, il celebre scrittore russo, decise di pianificare un suo Ciclo di lettura, selezionando testi veramente necessari (tra i quali pose subito il Vangelo). Annotò, allora, in apertura questa sua frase, accompagnandola con alcune citazioni di autori diversi, tra i quali il filosofo inglese John Locke (1632-1704) che osservava: «Siamo una specie ruminante e non basta che ci imbottiamo con una quantità di libri: se non ruminiamo e digeriamo per bene tutto quello che abbiamo ingerito, i libri non ci daranno forza e nutrimento». In verità ai nostri giorni non si corre il rischio che ci si «imbottisca con una quantità di libri».Adesso è piuttosto la comunicazione informatica a offrirci un immenso paniere colmo di ogni dato, dai peggiori cascami fino alle perle, in una confusione totale che genera relativismo, disorientamento e scompiglio mentale e morale. È, dunque, indispensabile ritornare all'esercizio critico, al vaglio, alla selezione, individuando innanzitutto le «poche cose, belle e necessarie». Solo così si alimenta lo spirito, si trova una lampada che guidi il cervello e il cuore, si diventa capaci di accrescere la conoscenza anche con le cose secondarie. Questo metodo è purtroppo spesso assente, a partire dalla scuola e il risultato è ben espresso dall'antica sapienza ebraica che così ritraeva il duplice esito, attestato a ogni livello sociale anche ai nostri giorni: «Il sapiente sa quel che dice, lo stupido dice quel che sa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA





