«Disumana e inammis-sibile», la pena di morte è dunque destinata a uscire definitivamente e, soprattutto, in maniera inequivoca dal catechismo della Chiesa cattolica. Papa Francesco l'ha detto come più chiaro non avrebbe potuto, nel ricordare l'altro giorno il venticinquesimo anniversario della promulgazione dello stesso catechismo. Il quale, peraltro, proprio sul canone riferito alla pena di morte, ha già subito significative variazioni, come è stato ben spiegato su queste pagine.
Più ancora dell'oggetto di questa annunciata modifica, ossia la pena di morte, quello che è importante da sottolineare nel discorso di Francesco è tuttavia quanto affermato sul dinamismo tra dottrina e tradizione. Perché, ha detto spiegando come mai quel cambiamento sia tanto necessario, «non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l'azione dello Spirito Santo... La Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al deposito della fede come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare».
Qualcosa che nel 2006 Benedetto XVI aveva già spiegato molto bene, sottolineando come «la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto dell'eternità. Ed essendo così, in questo fiume vivo si realizza sempre di nuovo la parola del Signore, che abbiamo sentito all'inizio dalle labbra del lettore: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”». E qualche settimana più tardi avrebbe aggiunto: «La Tradizione, pertanto, è la storia dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa attraverso la mediazione degli Apostoli e dei loro successori, in fedele continuità con l'esperienza delle origini».
Che il rapporto fra tradizione e dottrina non sia un monolite inamovibile, non dovrebbe essere una novità, ma ricordarlo non può che far bene. Soprattutto in un'epoca come questa, in cui la tentazione di alzare, a sproposito, la manina per “correggere” il Papa è particolarmente forte. Ed è anche l'occasione per ricordare che aggiustamenti o cambiamenti dottrinali accompagnano da sempre la storia della Chiesa. Il più clamoroso, forse, sicuramente il più recente, è quello che riguarda il limbo, inteso «come stato in cui le anime dei bambini che muoiono senza Battesimo non meritano il premio della visione beatifica, a causa del peccato originale, ma non subiscono nessuna punizione, poiché non hanno commesso peccati personali». Un dibattito iniziato sotto Paolo VI e concluso solo nel 2007, quando la Commissione teologica internazionale pubblicò un documento, approvato da Benedetto XVI, in cui si affermava che «questa teoria, elaborata da teologi a partire dal Medioevo, non è mai entrata nelle definizioni dogmatiche del Magistero, anche se lo stesso Magistero l'ha menzionata nel suo insegnamento fino al Concilio Vaticano II. Essa rimane quindi un'ipotesi teologica possibile. Tuttavia nel Catechismo della Chiesa Cattolica la teoria del limbo non viene menzionata, ed è invece insegnato che, quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito specifico dei funerali per loro».
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