Dal 20 marzo posso dire ufficialmente che sono un tipo al di sopra della media. No, non è che mi sono montato la testa, è proprio che ho superato la media della sopravvivenza alla Sla, che sembra che vada dai tre ai cinque anni. A me fu diagnosticata il 20 marzo del 2017 e quindi pare proprio che io sia fuori media. Non meravigliatevi per i tanti "sembra" e "pare", già scritti e che scriverò. Perché la realtà è che della Sla continua a sapersi poco o nulla. A parte il fatto che bisognerebbe chiamarla malattia del motoneurone, che comprende – sembra – una quarantina di patologie diverse.
La prima volta che mi trovai sbattuto in faccia che, tra le possibili cause del mio disturbo alla mano destra, ci potesse essere il Mnd (acronimo di Moto Neuron Disease, nome "ufficiale" della mia malattia) era l'inizio di luglio del 2016. Mi ero preoccupato perché una sera, a cena con amici, non riuscivo a tenere in mano il coltello, in aggiunta al fatto che da qualche giorno non ero in grado di tenere stretto il gas della moto, così iniziai a fare un po' di esami. Lessi quella definizione a me sconosciuta sul referto di una elettromiografia, e appena uscito dallo studio medico cominciai a cercare cosa volesse dire. Lo trovai, e mi prese un colpo. Ma poi scacciai quel pensiero. Istinto di conservazione. Comunque qualche giorno dopo stavo già al Centro Nemo, dove solo dopo otto mesi, per me sempre più angosciosi, mi diedero la diagnosi.
In poco tempo imparai tutto quel che si sapeva sulla malattia del motoneurone. Montagne di articoli, su giornali e riviste scientifiche, per capire fondamentalmente due cose: che ero spacciato, e che mi restavano da tre a cinque anni di vita. Per questo, ormai doppiato il capo dei cinque anni, posso dire che sono fuori dalla media. Che sia felice di aver raggiunto questo traguardo è tutto un altro discorso. Che preferisco non fare. La cosa che forse potrebbe sembrare più assurda è che in quegli otto mesi, mano a mano che peggioravo e che i sintomi diventavano con sempre maggiore evidenza quelli che più temevo, mi dicevo e dicevo, con ostinazione, che no, non poteva essere. Tutto, ma non la Sla. Proprio alla vigilia di quel 20 marzo avevo cominciato a informarmi, senza dirlo a nessuno, su dove sarebbe stato meglio fare la delicata operazione alla colonna cervicale che, ingannando me stesso, volevo credere che mi avrebbe fatto uscire dall'incubo. Lo stesso incubo che, ormai da cinque anni, sto vivendo.
(70-Avvenire.it/rubriche/Slalom)
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