sabato 18 aprile 2009
Una volta avevo una zia che quando ero piccolina mi aveva insegnato la preghiera della «Salve Regina» e ogni giorno di festa me la faceva ripetere. Io andavo avanti fin quando non arrivava alle parole «questa valle di lacrime» e lì mi fermavo perché non volevo assolutamente credere che si dovesse vivere in una valle di lacrime. È la preghiera a Maria che nelle chiese non si sente ripetere che difficilmente alla fine di qualche rosario della sera. Non può essere così " mi ripetevo " e non pronunciavo quelle parole che mi sembrava oscurassero il mio mondo dove imperavano solo nuvole rosa. Poi lentamente, senza avviso sono arrivate le piogge, i tuoni e i temporali. Prima quasi irriconoscibili come avversità da sopportare poiché erano senza nome e colpivano lontano. Ci sono state guerre che sembravano sullo schermo della televisione, che ne dava notizia, lo scorrere di un film che non sollevava rivolte, né reali emozioni. In fondo non si sentiva il freddo delle canne dei fucili, né le grida di chi stava morendo nella polvere, né quel singhiozzo dei bambini che è il loro modo di piangere di fronte alla paura. La mia camera aveva un terrazzino piccolo dove ci stavano appena due sedie, e dove il sole batteva feroce d'estate e spariva d'inverno quando ce ne sarebbe stato bisogno, per restare invece alto nel cielo sopra di noi. Ma la vista era superba quando la luce scendeva a coprire come un mantello la cupola di San Pietro e suonavano le campane a battere il tempo e la gioia di vivere. Quasi avrei voluto saltare nel vuoto tanto era l'entusiasmo per la vita, la curiosità di sperimentare e la sicurezza che niente di male mi sarebbe mai accaduto. Dietro di me avevo una famiglia che mi aveva insegnato che ogni cosa si può affrontare se c'è serenità di giudizio, coraggio fisico e morale e soprattutto quella pazienza che è virtù dei forti. Saper aspettare, dare tempo anche agli altri, ascoltare sé stessi con calma senza fretta davanti alle decisioni che ci propone la vita. Sempre di più invece si assiste in questo tempo alla sconfitta delle famiglie giovani quando all'inizio non si è voluto mettersi in gioco con passo più lento e più meditato. L'amore allora deve essere stato piccola cosa se può sparire tanto presto, se non ha aiutato a capire, a dare una mano, a volte ad avere compassione. Una piccola cosa se non serve a costruire insieme, se non dà la forza di crescere, se non perdona mai, se non riscalda quando l'anima dell'altro ha freddo, ma riesce a pensare solo a sé stesso e a distruggere. Allora davvero quell'amore è stata piccola cosa senza coraggio, priva di volontà, pronta a morire al primo soffio di vento lasciando dietro di sé foglie secche che tolgono il respiro e oscurano il cielo. Ed è fortuna se in mezzo non c'è l'ombra di un bambino pronto a soffrire come una giovane pianta cui si taglia ogni giorno un piccolo ramo finché muore. Quello non si chiama amore, ma una scottatura che passerà con un po' di crema e qualche lacrima. Solo i piccoli, come una piaga, lo porteranno nel cuore.
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