mercoledì 23 maggio 2018
Poche righe sui giornali di ieri per celebrare la giornata della biodiversità, parola ormai entrata nel lessico, soprattutto dei discorsi politici.
I numeri di questo fenomeno, che vede l'Italia campione, sono del resto imponenti: 5.047 prodotti agroalimentari censiti dalle varie regioni attraverso l'elenco dei Pat (prodotti agricoli tradizionali). I prodotti Dop e Igp sono 293 e i vini Doc o Docg arrivano a 415, traendo linfa da 504 varietà di uva iscritte ufficialmente a registro. Anche le olive non scherzano: 533 cultivar.
Ora, se questa polverizzazione varietale in passato era considerata una debolezza, oggi spinge l'economia, essendo la distinzione la carta vincente che le aziende agricole hanno scelto per raccontare la qualità italiana nel mondo. Il caso più eclatante è rappresentato dal grano, con la riscoperta delle antiche varietà, considerate poco produttive, che oggi vengono rilanciate addirittura per alcune valenze salutistiche.
Credo che questo immenso patrimonio si possa paragonare a quello artistico: è talmente vasto che viene dato per scontato, mentre in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe valorizzato al massimo. Detto questo, siamo nel pieno ciclo della riscoperta di ciò che ci ha lasciato il passato, ma sappiamo bene che dopo un ciclo ne viene un altro, solitamente di segno contrario, che potrebbe ricacciare nell'oblio ciò che oggi è una ricchezza.
E questo accade quando si profila un cambio generazionale. I millennials sono gli alfieri della riscoperta della biodiversità, ma i loro figli avranno la stessa coscienza? Oppure avvertiranno un senso di bulimia? E qui, in qualche modo, entra in gioco la politica, se è vero che essa è servizio al bene comune. Al neo ministro per le Politiche Agricole (che conosceremo presto) lanciamo dunque l'appello: non ci sono soltanto le Dop e le Igp, ma un patrimonio diffuso che rappresenta il racconto di questa Italia, paese dopo paese.
Da 20 anni si discute per esempio delle Denominazioni comunali, ossia di quel riconoscimento circoscritto di beni identitari che ogni sindaco può stabilire con una semplice delibera, attuando un registro dei prodotti che caratterizzano economia e identità della propria comunità. Ebbene, non s'è mai giunti a dire una parola chiara, lasciando le De.Co. nel limbo di una libera interpretazione, che da un lato è pericolosa e dall'altro presta il fianco a critiche quanto alla riconoscibilità all'estero (dimenticandosi che ciascuno di noi ha un nome e un cognome e questo non è un inciampo...). Vedrà dunque la luce una legge sulle Denominazioni Comunali, che possa diventare un anello della scommessa spesso conclamata: Italia terreno di gusto e turismo?
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