Lo storico Giovanni De Luna, autore di vari e notevoli libri su politica, società e cultura del secolo scorso in Italia, ne pubblica ora una veloce sintesi di sapore autobiografico con il titolo Che cosa resta del Novecento (Utet, pagine 190, euro 15,00). Appartengo alla stessa generazione di De Luna, quella dei nati fra il 1940 e il 1950, e come lui cerco di orientarmi nel presente riflettendo sul Novecento, su quanto di quel secolo si allontana da noi e quanto invece è un passato che non passa. Il Novecento è stato il secolo delle masse, dell’organizzazione burocratica, dello sviluppo capitalistico come nuova religione, dei genocidi, dei totalitarismi, della crisi dell’individuo, dei consumi coatti, dei fanatismi ideologici, delle avanguardie artistiche, della cosiddetta civiltà delle macchine... Basterebbe questo semplice elenco per capire in quale misura il secolo scorso sia entrato nel nostro drammatico Duemila. La più pessimistica e tetra profezia politica e sociale, quella descritta da George Orwell nel romanzo 1984, dovrebbe restare ben presente alla nostra attenzione e memoria. Tra le previsioni più ricche di futuro che Orwell immaginò c’erano le tecniche di occultamento, cancellazione o rovesciamento della verità in menzogna, un morbo culturale diabolicamente politico, radice tuttora di criminali conflitti. Sempre più spesso le realtà e le verità sono negate e al loro posto viene messa la falsificazione, che ormai può essere diffusa e imposta con una efficienza e velocità tecnica difficile da contrastare. Le macchine della comunicazione di massa, dell’informazione manipolata fino al delirio dei “negazionismi”, permettono di ingigantire il contrario di ciò che è reale e vero. Inoltre le libertà individuali si riducono: gli individui pensano solo digitando e fissando un display su cui può comparire di tutto senza verifica, mentre lo stesso congegno comunicativo ci tiene tutti sotto controllo. Il Novecento è stato però anche il secolo del pensiero critico e della rivolta contro i conformismi sociali. Saper dire no era considerato il primo atto di libertà critica. Oggi trionfa il dire sì, che rende antipatico e impopolare il dire no. Perfino la disperazione sente il bisogno di nascondersi. Come stai, tutto bene, tutto apposto? Ok ok, Wow!
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