Secondo Piero Ostellino (Corriere della sera, mercoledì 3) c'è «troppa retorica su Papa Francesco» e, dunque, bisogna «diffidare dei suoi incauti imitatori». Detto altrimenti: «La melassa dolciastra di un progressismo mal digerito, buonista, retorico, parecchio clericale e anche un po' bigotto» l'ha «sommerso inondando i media». Poi dagli imitatori passa all'imitato: «Il pauperismo ecclesiastico è la forma del marketing della Chiesa, oltre che della sua missione di carità e dell'essenza politica della sua gerarchia». Infine cerca di ridurre la portata dei «segni» che caratterizzano «i comportamenti del Papa»: non bisogna interpretarli «come i prodromi di una "dottrina della povertà" che riguarderebbe non solo la Chiesa ma anche la politica e gli stili di vita della convivenza civile» e li riduce a un «riflesso di un personale fastidio per la grandiosa esteriorità di certi rituali storici della Chiesa in quanto istituzione» (e già questo termine è un abbassamento a livello solo terragno del popolo di Dio), il cui governo si concreterebbe, al solito, nel «controllo secolare» e via dicendo con abbondanza di argomentazioni, che non sono le migliori di questo valido Autore. In sostanza, il pericolo temuto sembra essere che le istituzioni statali imparino finalmente un po' di «povertà»: cioè che «le sue [del Papa] modalità pastorali diventino un modello da imitare, cioè un rischio per la necessaria "separatezza" della Politica dall'Etica». A Ostellino ha replicato, due giorni dopo e come sa fare un gesuita, padre Gabriele Semino, ma il giornalista ha insistito dichiarandosi «aspirante credente». Questa qualifica può in parte spiegare come sincere preoccupazioni i suoi giudizi critici, tuttavia, l'impressione è che Ostellino abbia voluto parlare a nuora perché suocera intenda. Allora, però, sarebbe stato meglio se avesse evitato la terminologia da marketing, che poco si addice alla Chiesa e provoca comprensibili reazioni. A volte i probabili sperati futuri neofiti peccano per esuberanza o inesperienza più che per malizia. UOMINI E POLPILa "telomerasi", scoperta da un gruppo di tre Premi Nobel statunitensi (Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostak), è un enzima che ha un ruolo importante nel garantire l'integrità del Dna umano durante la replicazione cellulare. Mentre in tutto il mondo ci si preoccupa per il costo delle pensioni e per la difficoltà del ricambio generazionale nel mondo del lavoro dovuto al ritardo del pensionamento, c'è una schiera di scienziati – riferisce Il Gazzettino, giovedì 4 – che si dà da fare alla ricerca dell'immortalità sfruttando proprio i "telomeri", cioè una sequenza del Dna che è in grado di preservare le cellule dall'invecchiamento. Non so come, ma pare che i ricercatori abbiano molte speranze nell'Hydra, un piccolo polpo d'acqua dolce che, pare ben fornito di telomeri e non invecchia mai. Staremo a vedere come andrà a finire, ma la prospettiva di imparentarsi con un polpo per raggiungere l'immortalità mi sembra preoccupante. Ci sono ben altre strade per raggiungerla. Quella vera.COSCIENZE E PECCATIA Roberto Gervaso piacciono gli aforismi. Eccone un paio dei più recenti (Il Messaggero, venerdì 5): «I miei peccati me li rimette la mia coscienza, non un estraneo» e «Finché avrò una coscienza, non sarò mai in pace con la mia». E allora come fa per i peccati?
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