Per la cura di Domenico Ingenito, esce l’opera poetica completa di Forugh Farrokhzad, poetessa iraniana (Io parlo dai confini della notte. Tutte le poesie, Bompiani, pagine 790, euro 30,00). Morta a soli trentatré anni in un incidente stradale, Forugh Farrokhzad scrisse moltissimi versi, tutti di straordinaria, rara bellezza. Una bellezza che si staglia nitida e che nutre, in questo tempo tanto gramo e povero di poesia. Tra le molte cose che sorprendono e incantano di tale grande poetessa, c’è la sua capacità di autodeterminarsi: qualcosa che colpisce ancora di più se si pensa alle donne iraniane di oggi, al loro empio, durissimo stare al mondo. Vivere e poetare, in Forugh Farrokhzad, si uniscono, e congiunti generano e sprigionano tale grande forza di autodefinizione. «Io allora / a occhi aperti sceglierò da me, per me, una forma / perché io chiami madre quel che voglio madre / e liberamente mi incammini per la mia via». Forugh Farrokhzad è stata donna di fervido credere e di intense passioni, eppure niente come la poesia la nutriva. Pochi anni prima di morire, in una lettera rivolta al padre dichiarò: «Mi sento felice solo quando il mio spirito è soddisfatto, quando la poesia soddisfa il mio animo». C’era straordinaria modernità e indipendenza, in quel dichiarare la pienezza che deriva dal più consono nutrimento per il proprio spirito. E davvero, cavalcando attraverso i decenni, il suo è esempio di quel “donna, vita, libertà” (lo slogan delle donne iraniane di oggi), ante litteram, prefigurativo. Forugh Farrokhzad indefessa componeva negli anni Cinquanta: ma nel leggerla ci sembra di ascoltare la voce di una donna iraniana di oggi. Un effetto da un lato dovuto all’universalità e atemporalità della parola poetica, dall’altro alla non risoluzione di temi e di battaglie portati avanti in nome di libertà drammaticamente non ancora conquistate. «Una donna ha diritto di essere una donna anche nella sua poesia». Se ci si attiene alla potenza folgorante dei versi, nel lettore prevale un senso di ammirazione e gioia. Sono versi che per più ragioni fecero scandalo, eppure la loro forza, oggi restituita in lingua italiana, ci raggiunge intera, senza mediazioni. Puro, intensissimo poetare; sempre teso nella ricerca del giusto tono, termine, chiave per ogni strofa così da armonizzarla con il sentire autentico. Qua e là torna in mente altra scrittura femminile di epoche anteriori. Il seicentesco Commento mistico al Cantico dei Cantici della francese Marie Guyon, ma anche certe poesie di Juana De La Cruz. Opere accomunate da un rapporto con l’interiorità delle scriventi. Composizioni unite con una forma di guarigione di sé operata da sé stessi. «L’io lirico è impegnato in un percorso di cura del sé biografico» scrive il curatore Ingenito. Nel reimmergersi nella lettura di queste poesie straordinarie, viene da pensare a quanto siano curativi, e prima ancora consolanti, testi scritti per un’intima necessità di cura. Dettati dall’imperativo di aggrapparsi alla vita, e farlo nel modo più sensato, e nutriente, per sé stessi in primo luogo.
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