Don Luca Peyron è direttore dell'Ufficio per la pastorale universitaria e coordinatore del Servizio per l'apostolato digitale dell'arcidiocesi di Torino. In tali vesti ha avuto un certo spazio nelle cronache di luglio e agosto scorsi, essendosi egli, d'intesa con l'arcivescovo Cesare Nosiglia, fatto alfiere della candidatura di Torino a sede del nascituro Istituto italiano per l'intelligenza artificiale. Di lui chi segue questa rubrica sa qualcosa di più: che collabora al blog dell'Atism "Moralia", che posta regolarmente «cronache dall'infosfera» sul blog "Incarnazione digitale" e che ha un profilo Facebook intestato a "Don Luca Cappellano". Ha appena esordito anche su "HuffPost". Dice ancora di più su don Peyron il commento ( bit.ly/31PsVy5 ) che egli ha dedicato a don Alberto Ravagnani in risposta a un articolo di Gilberto Borghi e Fabio Colagrande su "Vino Nuovo" ( bit.ly/34UUWX0 ). Questi hanno messo l'accento sul fatto che «pochi preti si sono esposti» a sostenere il giovane confratello trasformatosi in pochi mesi in fenomeno del web, e «molti di più, almeno sembra, lo stanno criticando». Con l'esplicito intento di «rimediare a una mancanza», e senza specificare se don Ravagnani faccia tutto bene oppure no, don Peyron valorizza il fatto che egli «ci provi», perché «il tema è se nella trasformazione digitale ci crediamo o no alle promesse di Cristo. Ci crediamo o no che si può camminare sulle acque? Ci crediamo o no che nel nostro annaspare nella storia Cristo ci accompagna?». Ieri, poi, è uscito su Facebook un suo post semplice ed efficace ( bit.ly/3lO8VDY ) che non ha niente a che fare con il digitale ma che illumina il supporto dato a don Ravagnani. Vi si parla infatti della vita di fede paragonandola a «un gioco di squadra»: sbagli se avverti che i compagni ti aspettano al varco, giudicandoti un mediocre, e invece giochi bene se senti «il tifo cieco e sfegatato» di chi ti gioca accanto.
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