«La lingua italiana non è in Sicilia la lingua dei poveri». Il senso di La terra trema sta già nella frase con cui si chiude la lunga didascalia con cui il film si apre: un messaggio di evidente intonazione politica, che si trasforma subito in riflessione stilistica. Che cosa vada detto è chiaro, adesso occorre trovare gli strumenti più efficaci per dare voce a chi, altrimenti, non ne avrebbe alcuna. Sono gli estremi, tutt'altro che inconciliabili, entro i quali si muove il cinema di Luchino Visconti, regista raffinatissimo e militante, impegnato e addirittura minuzioso nella ricostruzione degli ambienti e degli stati d'animo. La stessa cura che, per esempio, verrà riservata ai costumi di Senso nel 1954 e, più ancora, a quelli del Gattopardo nel 1963 (la leggenda vuole che fosse d'epoca perfino la biancheria conservata nei mobili, ovviamente antichi, adoperati per la scenografia) è qui riservata ai maglioni sdruciti che gli uomini della famiglia Valastro indossano per uscire a pesca ogni notte. Così Aci Trezza, che potrebbe essere soltanto lo sfondo di un romanzo, torna a rivelarsi per quello che è: un luogo reale, che esige rispetto e induce alla testimonianza.
Di famiglia nobile, nato a Milano nel 1906 e morto a Roma nel 1976, Visconti è un autore che deve moltissimo alla letteratura e che alla letteratura – andrà ammesso – ha dato moltissimo. Dall'esordio con Ossessione nel 1943 fino al testamentario e irrisolto L'innocente del '76, da Rocco e i suoi fratelli del '60 a Morte a Venezia del '71, dietro molti film di Visconti c'è un romanzo: James M. Cain, Gabriele d'Annunzio, Camillo Boito, il Testori del Ponte della Ghisolfa, Thomas Mann. E Tomasi di Lampedusa per la storia del principe di Salina, si capisce. La terra trema, del 1948, è un caso diverso, un'eccezione che fa regola a sé.
Visconti rilegge I Malavoglia di Giovanni Verga alla luce della cronaca dell'immediato dopoguerra, si riappropria di un classico trascinandolo nella contemporaneità. Lo fa con pieno convincimento ideologico (lo spunto per il film gli viene mentre è impegnato nelle riprese di un documentario elettorale per il Partito comunista) e con assoluto rigore d'artista. La terra trema non si limita a fornire una trasposizione cinematografica dei Malavoglia: li riscrive per immagini, in una lingua domestica e solenne. Girare ad Aci Trezza non basta, occorre che gli abitanti del paese accettino di recitare la parte che viene loro assegnata e che, in più di un caso, si avvicina molto alla loro stessa biografia. Lo scarto fra realtà e rappresentazione è ridotto al minimo, con un'attenzione ai giovani che, una volta di più, offre una nuova chiave interpretativa del romanzo di Verga. Non è la storia dei padri sconfitti, quella che Visconti racconta. È la storia dei figli ai quali viene negato il futuro: il ribelle 'Ntoni, Cola che si fa contrabbandiere per necessità, Mara che non può amare, Lucia che si deve concedere. A interpretare i quattro fratelli Valastro sono due coppie di fratelli e sorelle, Antonio e Giuseppe Arcidiacono per 'Ntoni e Cola, Agnese e Nelluccia Giammona per Lucia e Mara. Sono volti che non si dimenticano, anche se sullo schermo appaiono solo in questa occasione.
Come I Malavoglia, anche La terra trema è un capolavoro che porta su di sé i segni di un fallimento. Verga non arrivò a completare il Ciclo dei Vinti inaugurato dal romanzo, Visconti non portò a termine la trilogia sulla povertà siciliana di cui questo "episodio del mare" avrebbe dovuto costituire il primo pannello. Entrambe le opere non concedono nulla, non lasciano scampo. Ma parlano una lingua nuova, l'unica che si poteva adoperare per dare forma a una bellezza tanto dolorosa.
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