Ricordo perfettamente i giorni della lettura del romanzo dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua, L’amante. Da appassionata lettrice, il mio disorientamento misto ad ammirazione nel seguire una vicenda narrata da voci diverse, di arabi e di israeliani, tutti insieme a lavorare (in una stessa autofficina), e come per propagazione, messaggeri di punti di vista scomposti in corrispettive voci, inanellate l’una all’altra così da comporre l’affresco di una intera storia. Destini incrociati, e voci, molte voci, non sovrapposte ma quasi simultanee, argentine nel timbro, dense e ricche della loro diversità. In particolare, la voce di un giovane arabo e quella di una ragazza israeliana, protagonisti di un amore difficile. Credo leggessi per la prima volta un romanzo “a più voci”, scoprendo così il valore anche morale di un punto di vista rifratto, la bellezza di voci narranti capaci di spostarsi, restituendo la realtà nella complessità di un suo diversificarsi sviscerato attraverso prospettive diverse. Fu emozionante leggere quel romanzo, trovare sulla pagina una pratica di attenzione all’alterità, il significato autentico di un “mettersi nei panni dell’altro” che è condizione essenziale di chi si voglia, e si pensi, scrittore. Osservavo da vicino cosa fosse l’empatia, in tempi in cui il termine non conosceva lo smodato utilizzo che conosce oggi. Era visione ampia, equanime, mai faziosa quella suggerita da Yehoshua: assolutamente umana, in grado di spaziare e spostarsi come dentro un caleidoscopio. Un romanzo polifonico lascia al lettore il privilegio di possedere più di una chiave: non conta che siano le tonalità di ciascun “testimone” a cambiare. Conta piuttosto la varietà di quelle “testimonianze”, la ricchezza poliedrica che insieme esse riescono a generare. L’ho pensato leggendo in questi giorni un altro libro a più voci, scritto da Eugenio Murrali (Marguerite è stata qui, Neri Pozza, pagine 190, euro 17,00). Un libro che per parlare di Marguerite Yourcenar, immagina e interpreta le riflessioni di molti personaggi, che come in una costellazione sono state accanto, intorno, poco lontano dalla scrittrice. Il padre di Yourcenar e il dramma della sua vedovanza; la balia; una zia; più tardi, amici e compagni incontrati dalla scrittrice lungo il cammino. Murrali con sapienza e particolare grazia di narratore riesce a dare parola a ciascuno di loro, non tanto sintonizzandosi su ogni singola voce, piuttosto concentrandosi sui vari punti di osservazione. Il risultato è quello per cui parlando sempre di un assente, si arriva a renderlo onnipresente. Marguerite Yourcenar è oggetto e soggetto di ogni descrizione, confessione, digressione dei suoi “vicini”, imponendosi davanti agli occhi di noi lettori, figura vivida, potente: ben più che verosimile perché quasi vera. E intanto ci accorgiamo di comprendere le psicologie e le ottiche degli altri a lei prossimi, così avendo sempre in mente un quadro d’insieme. Perché la vita è fatta di molti sguardi, è un mosaico di posizioni, è l’equilibrio (anche morale) del loro intersecarsi. Troppe volte lo dimentichiamo, ed ecco la letteratura venire in soccorso per ricordarcelo.
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