Dopo il quasi tutto Montale nei sei Meridiani Mondadori, curati da Giorgio Zampa (“quasi” perché non c'è il Diario Postumo), è incominciata la ripubblicazione commentata delle singole opere nel mondadoriano “Specchio”. Sono usciti gli Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro, Satura, Diario del '71 e del '72, Quaderno di quattro anni, ed ecco ora Farfalla di Dinard, a cura di Niccolò Scaffai (pagine 388, euro 22). La Farfalla, uscita in prima edizione nel 1956 e successivamente ampliata a più riprese, raccoglie «bozzetti, elzevirini e cul-de-lampe» (Montale dixit) apparsi sul "Corriere" dal 1947. A suo tempo, l'ottimo e sincero montalista Marco Forti ebbe a scrivere (e Scaffai lo ricorda): «Se anche Eugenio Montale, paradossalmente, non avesse scritto e pubblicato un solo verso, il prosatore, il critico, il traduttore non avrebbe mancato di lasciare una traccia anch'essa primaria». Beh, applicato alla Farfalla questo giudizio è fin troppo generoso, perché i brevi testi farfalliani interessano in quanto scritti da Montale e per conoscere ancor meglio il poeta, ma se un ignoto avesse scritto La casa delle due palme, Il Signor Stapps, L'uomo in pigiama e gli altri testi farfalliani sarebbe rimasto ignoto. Insomma, i bozzetti, gli elzevirini montaliani, certamente ben scritti, attirano soprattutto in quanto autobiografici. Ci sono pezzi memorabili: uno per tutti, Le vedove, in cui il poeta parodizza spietatamente il culto muliebre verso scrittori variamente dimenticati: «Perpetuano la loro memoria, sono avvolte in gramaglie, pendule di nastri e gale; sono ossequiate dai prefetti, presiedono comitati, rompono bottiglie di champagne su chiglie prossime al varo», eccetera. Due parole però per Dominico, inizialmente intitolato Un discepolo di Pound, dedicato a uno squinternato eccentrico che si proclamava seguace dell'Imagismo, il movimento letterario che Pound inaugurò nel 1913. Scrive Montale: «Io temo che Dominico, salvandosi da solo, si perda da solo, e che colui al quale sfugge il senso religioso della vita associata sfugga anche il meglio della vita individuale, dell'uomo stesso, che non è persona se non fa i conti con le altre persone, non è pienamente uomo se non accetta gli altri uomini». Scaffai liquida questa importantissima affermazione come «una deroga contingente alle inclinazioni per l'individualismo più autenticamente montaliano». Peccato. Molti critici (non parlo di Scaffai), che non credono in niente (lo dico con rispetto), insistono sull'individualismo di Montale e non colgono l'aspetto più profondo della persona e dell'opera del poeta, che è appunto «il senso religioso», e quando Montale dice "religioso", intende "cristiano", anzi, "cattolico". È in incisi come quello citato che il critico aperto al reale dovrebbe lavorare, e gli spunti sono tutt'altro che scarsi in Montale, e danno la terza dimensione anche alla sua poesia. È forte la tentazione di trovare negli altri la conferma ai propri pregiudizi. Come dice uno dei proverbi del Gabon inventati da Emanuele Samek Lodovici, «per un pipistrello, il paradiso è pieno di pipistrelli».
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