Oggi mi hanno invitato a ragionare di Chiesa cattolica, media e migrazioni a un seminario alla Lumsa, “Per un approccio interculturale e interreligioso al fenomeno delle migrazioni”. Preoccupato dall'autorevolezza dei relatori che mi precederanno e mi seguiranno, ho blandito i miei robot affinché, con qualche dato, mi aiutassero a non fare brutta figura. E loro mi hanno fatto notare che la categoria “Chiesa che serve”, sotto la quale raccolgo le notizie che riguardano il contributo delle istituzioni ecclesiali in ordine alle questioni e alle emergenze sociali, accoglie (è il caso di dirlo) ogni giorno storie di migranti e profughi, spesso per illuminare tante belle testimonianze di carità cristiana e talora per stigmatizzare (presunti) eccessi. Solo negli ultimi 7 giorni ho registrato: i successivi aggiornamenti della crisi verificatasi a Ventimiglia; una vignetta di Gioba nella quale Gesù allerta Mosé su una possibile ripetizione del “trucchetto del Mar Rosso”, per evitare nuovi naufragi di barconi; i moniti dei cardinali Bagnasco e Nycz a favore dell'accoglienza; un post di padre Gheddo che addita all'Europa, per meglio affrontare la crisi dei migranti, la ricchezza di umanità da lui sperimentata nella ben più povera Africa.Non si può negare che la sensibilità di almeno una parte dell'opinione pubblica italiana ed europea in tema di accoglienza dei migranti e dei profughi si nutra delle testimonianze della Chiesa, e che tali testimonianze abbiano guadagnato in visibilità, se non in intensità, grazie ai gesti e alle parole di papa Francesco: quelli di Lampedusa e Lesbo e quelli innumerevoli che ci sono stati in mezzo. Come ricordava anche il card. Tagle, parlando di recente alla Caritas italiana ( http://tinyurl.com/gvx3qad ), c'è bisogno di “costruire una solidarietà globale, attraverso un contributo in termini di comunicazione, educazione e mobilitazione dell'opinione pubblica”. E in questo le istituzioni e gli uomini della Chiesa possono giocare un ruolo fondamentale.
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