Nel Paleolitico Superiore sboccia ed esplode la pittura rupestre, una delle grandi stagioni dell’arte, al pari dell’architettura e scultura dei Greci e di Fidia, del Quattrocento italiano, il Rinascimento, il romanticismo di Turner e Constable, l’impressionismo. Commosso dalla visita alle pitture sulle pareti, uscendo dalla grotta, Picasso affermò: «Dopo Altamira l’arte è solo decadenza».
In quella stessa stagione della nostra preistoria, cioè della nostra storia non sottoposta alla cronologia, si moltiplica il numero di tombe: l’Homo sapiens sapiens ne affina anche la disposizione, utilizza diffusamente l’ocra rossa (simbolo di sangue, vita-morte), e gli ornamenti, con un’attenzione particolare al capo del defunto, introduce nelle tombe utensili. «L’aldilà - scrive Julien Ries - appare come un mondo nel quale è meglio non entrare privi di bagagli». I vivi ne fanno una preoccupazione centrale nella propria esistenza. Questa centralità della morte, questa preoccupazione rivela, secondo il grande paleoantropologo Yves Coppens, una cura più pronunciata del senso del sacro. Cita come esempio un uomo di una sessantina d’anni, sepolto con migliaia di perle d’avorio cucite sui vestiti. La preparazione di ognuna richiede un’ora di lavoro. La morte, il rito, la speranza.
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