Maria è diventata la mamma delle nostre paure, delle nostre rassegnazioni, la mamma dei marinai minacciati dal naufragio, dei viandanti sperduti sulle montagne, dei soldati che perdono sangue, dei figli senza più madre, delle madri senza più figli, degli uomini senza più casa né pane né Dio.
È il primo sabato del mese di maggio: la tradizione popolare intreccia questa ricorrenza cronologica con la figura di Maria secondo i canoni della devozione che possono talora sbavare verso forme sentimentali ma che contengono spesso un nucleo forte di spiritualità e di umanità. È ciò che faccio dire a uno degli amici più cari che abbia mai avuto durante la mia vita, lo scrittore Luigi Santucci, morto nel 1999. È un passo tratto dal libro Chi è costui che viene? (Mondadori 1953) e coglie un aspetto significativo della devozione mariana che non di rado è rimasta come traccia indelebile anche nel cuore di chi ha del tutto abbandonato la fede dell'infanzia.
Sarà la sua maternità o la sua femminilità, la sua purezza o la sua sofferenza (la scena ai piedi della croce è straziante, pur non registrando nessuna lacrima di Maria), sarà la sua quotidianità oppure la scelta divina nei suoi confronti per compiere un mistero più grande di lei, sta di fatto che nei momenti più cupi, scanditi da paure, pericoli, tragedie, malattie è
spontaneo invocarla. Si ritrova in lei la via spianata verso quel Dio onnipotente che, però, quasi non si osa scomodare in modo diretto. Si comprende, allora, perché la devozione mariana sia, da un lato, autenticamente cristiana perché ci conduce al Figlio suo e, d'altro lato, sia profondamente umana perché ci fa ritornare figli, nella semplicità dell'abbandono fiducioso e sereno.
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