La scuola è partita e le polemiche sui green pass dovrebbero spegnersi, dopo un estenuante bla bla su un'applicazione tutt'altro che complicata: parola di chi visita ristoranti e fiere, dove non ci sono nemmeno le code. Detto questo, restano diversi i nodi che dovrebbero sciogliersi nel momento in cui l'economia ripartirà con qualche certezza in più. Una di queste riguarda la ristorazione, mutilata di personale preparato, ma pronta a rimettersi in gioco con la propria filiera che ha un punto di avvio nella formazione. E qui sono dolori, perché se è vero che va ricostruito un tessuto di personale preparato, l'altra verità è che negli Istituti alberghieri che hanno un percorso di 5 anni mancano i docenti di laboratorio capaci di trasmettere un'idea non solo tecnica, ma anche di costruzione culturale di un piatto. Tiziana Villa è preside dell'Istituto Don Gnocchi di Carate Brianza e l'altro giorno mi ha aperto gli occhi sul fatto che da 6 anni cerca un certo tipo di insegnante; ma la normativa vigente la blocca giacché prevede che si possano assumere docenti di sala e di cucina solo se hanno il diploma di scuola alberghiera. Ora non so se Carlo Cracco o Massimo Bottura e chi più ne ha più ne metta fra i cuochi che avrebbero molto da insegnare, sono in possesso di quel diploma. Certo per lo Stato non contano le promozioni sul campo, le elaborazioni e le intuizioni (Gualtiero Marchesi chi?), come non conta se un cuoco è magari plurilaureato e ha fatto dei master nell'ambito enogastronomico. Niente. Se non ha quel pezzetto di carta di una formazione che in molti casi risulta sorpassata (sennò perché mai avrebbero successo le scuole di formazione private?), non può fare il docente per trasmettere qualcosa che è in continuo movimento. Morale: la scuola italiana non consente che un'esperienza lavorativa e culturale sia al servizio della formazione dei ragazzi e riduce tutto a un titolo. È come se il gran parlare di enogastronomia che s'è fatto in questi anni, con citazioni anche di presidenti del Consiglio che poi hanno persino creato gli "Ambasciatori del gusto" (ma perché non hanno preteso che avessero il diploma dell'alberghiero prima di nominarli?), fossero solo un gioco per alimentare un po' di folklore. Ma non era un motore del turismo, l'enogastronomia? Ora chi metterà mano a queste storture, che evidenziano come troppo spesso manchi una regia che sappia anche incidere su certi aspetti normativi decisamente obsoleti?
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