L'ipotesi che si svolgano le elezioni ad agosto è uno dei pronostici più pittoreschi mai sentiti. Ma ormai non c'è più nulla di cui stupirsi in un Paese dove le tensioni salgono di giorno in giorno su livelli mai registrati. E lunedì, mentre il neo premier Cottarelli viveva la sua prima giornata, eravamo all'inaugurazione di una cantina a Montà d'Alba, quella di Domenico Almondo e dei suoi figli Stefano e Federico. C'era Giacomo Oddero, 92 anni, decano dei produttori di vino della Langhe, ma anche amministratore illuminato, c'era Carlo Petrini, in partenza per Bruxelles, decisamente smarrito per una situazione che vedeva sotto accusa la più alta carica dello Stato. «L'Europa è la nostra casa – ha detto – e in questa casa si può costruire anche il cambiamento». Ma la gente era confusa e forse frastornata a sentire le varie contrapposizioni: da una parte chi vede un palese ricatto al nostro Paese, dall'altra chi vorrebbe la regola del buon senso per vivere quella mediazione necessaria fra poteri, che vanno oltre le faccende di casa nostra. Ma intanto si era lì, ad ascoltare la storia di una famiglia italiana che ha tenuto duro quando, nel dopoguerra, le campagne si spopolavano per un posto sicuro in fabbrica. La terra non aveva i valori di oggi e il vino, soprattutto nel Roero, avrebbe conosciuto la riscossa solo 30 anni dopo. Ma, pur nella povertà, allora c'era una visione, un punto fermo da cui partire. Lo ha detto Domenico Almondo, ricordando il padre: «Se il vicino di casa vende, bisogna sempre cogliere l'occasione, a tutti i costi». Per questo hanno realizzato una cantina in paese, ristrutturando un capannone dismesso, anziché erodere terreno ai vigneti per avere una cantina magari più suggestiva. I due figli, Stefano (filosofo) e Federico (enologo) sono stati talmente avvinti da questa storia, da decidere di dedicarsi al vino. «Perché la terra del Roero ha qualcosa di misterioso che sa fare dei racconti – ha detto Stefano – qualcosa di religioso come già insegnarono i monaci nei secoli precedenti». E il fratello ha poi fatto un affondo preciso su quale debba essere la filosofia di un produttore di vino oggi: meno intervento tecnico possibile e più rispetto della vigna. Mi ha molto colpito questa chiarezza di visione, che fotografa un momento storico preciso, non solo nel percorso di una famiglia, ma di tutto quel mondo del vino italiano che ha cambiato pelle. Ed è foriero di una nuova economia. Ma manca un tassello: il riconoscimento in casa nostra. Lo smarrimento di questi giorni è uno schiaffo a questa economia, come lo sarebbe aprire i seggi ad agosto mentre l'Italia è in vacanza per alimentare un settore, il turismo, che va di pari passo con l'exploit dell'agroalimentare. C'è dunque qualcosa che può riportarci tutti alla realtà dei fatti?
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