mercoledì 12 luglio 2023
La tragedia greca era costituita di tre storie, collegate tra loro: una trilogia che si svolgeva dal nascere al tramontare del sole: privo di fondali, il teatro si svolgeva nel paesaggio e nel cielo vero. Sul tetto dell’edificio scenico si stendeva una piattaforma destinata alle epifanie degli dèi, in contrasto e dialogo col logeion, luogo degli uomini. Nel teatro di Atene, nel V secolo a.C., la lingua umana e quella divina si incontravano: il teatro, come indica la radice del termine, era l’atto stesso del vedere, la visione. La visione era del pubblico, della comunità, dal sorgere al calare del sole, dall’alba alla sera. Lì il poeta narrava e gli attori recitavano gli eventi mitici dei primordi, storie di dèi, di eroi, domande sul nostro destino umano. Il vincitore era il poeta che più radicalmente aveva saputo strappare al tempo fenomenico lo spettatore, immergendolo in un’altra dimensione temporale in cui rivivevano, nel rito e in versi, le antiche favole e gli eventi spesso terribili che le muovevano. Nel nostro tempo in cui, da secoli, il nostro occhio ha perduto la capacità di incantarsi nella visione, un’esperienza del genere pare inimmaginabile. Ma, in modi diversi, in altre forme, il suo segreto e l’incanto del teatro persistono, non muoiono mai. © riproduzione riservata
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