La distopia è un'utopia in negativo, cioè la descrizione di un mondo orrifico o comunque inabitabile che evoca il male per far capire come evitarlo, o almeno per prenderne le misure. Un rito apotropaico (scaramantico), insomma. Celebri romanzi distopici sono, per esempio, Fahrenheit 451, di Ray Bradbury (1953) che ipotizza un mondo senza libri; Il mondo nuovo, di Aldous Huxley (scritto nel 1932 ma ambientato nel 2545), in cui la tecnologia assicura felicità sensoriale a tutti, ma abolisce le emozioni; è distopico anche il più recente Sottomissione, di Michel Houellebecq (2015) che descrive una Francia islamizzata. E distopico è Memorie di un dittatore di Paolo Zardi (Perrone, pagine 304, euro 15,00) che, a differenza degli illustri predecessori, non è rivolto al futuro, bensì descrive un passato prossimo. Una distopia retroattiva, insomma. A raccontare la propria storia è un ex dittatore che avrebbe governato l'Italia per un decennio essendo poi defenestrato per aver scatenato un'assurda e sanguinosa guerra contro il Congo, oltretutto avendo confuso il Congo-Brazzaville con il Congo-Kinshasa. Adesso si trova in esilio su un'isoletta tropicale, ospite di un'immensa villa in abbandono, appartenuta a certi baroni germanici, avendo come unica compagnia un giovane servo indigeno, Fernando, rozzo di modi e pessimo cuoco. Potrebbe essere la riedizione di un Robinson Crusoe con Venerdì, ma il dittatore non ha l'operosità ingegnosa di Robinson e il giovane servo non ha capacità di apprendere come Venerdì. Non ci sono indizi identificativi: per fortuna, l'Italia non ha avuto in tempi recenti dittatori cialtroni come quello del libro. Mancano anche precisi riferimenti temporali: vengono citati i Queen, Madonna e altri personaggi degli ultimi anni; ottimo l'apprezzamento per Tu sanguinosa infanzia di Michele Mari (1997), che qualche pagina dopo diventa Mario Micheli; viene citato anche Canale Mussolini di Antonio Pennacchi (2010). Questo “dittatore” è veramente sgradevole. Arriva perfino a violentare Miranda, l'inattesa compagna di Fernando, ragazza che è l'unico personaggio dignitoso, purtroppo tragico, del libro. Il dittatore non ha avuto altro “ideale” che la conquista del potere: con quali mezzi? Lo dice lui stesso: «Sapevo odiare meglio. Con più naturalezza». L'aveva esattamente definito Bresquar, suo predecessore a capo del partito, mentre stava morendo per un attentato (al quale forse lo stesso dittatore non era estraneo): «Tu sei un mostro». A pagina 204 c'è una frase che l'autore deve ritenere importante, tanto da metterla, lei sola, in quarta di copertina: «Tutte le dittature si assomigliano, ogni democrazia traballa a modo suo». E infatti, nelle pagine centrali, ci sono considerazioni interessanti sulle propensioni del popolo e sulla democrazia. Il racconto è in prima persona, e non si capisce quando e come sia stato scritto. L'unica fonte esplicita è la descrizione della sua “carriera”, redatta a richiesta dei due “liberatori”. Nel finale, che correttamente non riveliamo, la sua voce sembra venire dall'aldilà. Ma il romanzo è una favola, e non si può pretendere rigorosa coerenza narrativa nelle favole.
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