venerdì 23 settembre 2016
Don Mario era parroco di una chiesa che non era mai stata intonacata e il cemento fra un mattone e l'altro toglieva ogni grazia alla fiamma del cotto. Il suono della campana, non essendoci campanile, non si capiva da dove uscisse, pareva un battito d'incudine ma andava bene così. Radunava, magrissimo nella sua tonaca nera, i bambini delle cascine in casa di un contadino. Raccontava le vite dei santi dei quali regalava poi loro delle coloratissime immaginette. Noto per la sua evangelica sobrietà, ci fu comunque una certa sorpresa, nello scoprire che l'uomo dormiva sul nudo pavimento. Nell'occasione di un suo ricovero ospedaliero gli regalarono della biancheria, essendo troppo logora la sua. Avrebbe potuto essere un personaggio appenninico di Cesare Zavattini, se questi avesse mai avuto il sentore religioso. Don Mario alle volte spariva per dei giorni, essendo lui cappellano degli zingari; altre volte si fermavano presso la sua canonica delle carovane per una sosta. Il prete, a quel tempo, lavorava a un dizionario per la lingua, credo, dei Rom. Ricordo la sua canonica gelida d'inverno, che confluiva nella chiesa senza riscaldamento. Mangiava una sola volta al giorno, ogni sera in una famiglia diversa dove recitava il rosario. Da un viaggio coi gitani non tornò più.
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