Sette mesi dopo, che cosa resta della “storica” Conferenza sul futuro dell’Europa, lanciata per trasformare e far crescere “dal basso” l’Unione negli anni a venire? Che ne è di quel primo e inedito esperimento di democrazia partecipata, fortemente voluto dal presidente francese Emmanuel Macron e alla fine accettato con più o meno convinzione da tutti i 27 Paesi membri? Aperta a marzo del 2021 e conclusa solennemente il 9 maggio scorso, dopo un anno fitto di appuntamenti, confronti a distanza e in presenza, scambi di idee e dibattiti mediante una piattaforma multilingue online, verso quali traguardi concreti potrà condurre?
Alla fine della scorsa settimana, oltre 500 “cittadini” dell’Unione, in parte già coinvolti nei gruppi di lavoro (panels) della Conferenza, sono stati riconvocati a Bruxelles presso la sede dell’Eurocamera e messi a confronto con i rappresentanti delle istituzioni comunitarie. Obiettivo: fare il punto sul cammino compiuto e sul recepimento possibile delle 49 proposte e delle 325 “misure” specifiche, approvate a maggio nella grande assemblea plenaria di fine lavori. Un raduno voluto non per dar vita a una “rimpatriata” celebrativa, ma per capire se qualche frutto potrà infine essere raccolto, in quali tempi e con quali modalità.
Inutile dire che la guerra ai confini Ue e il pesante clima internazionale che grava sul Continente, con le sue ricadute su questioni come le migrazioni, la transizione energetica e l’economia, hanno condizionato in qualche misura l’incontro. Ma non fino al punto di renderlo sterile o, peggio, di trasformarlo nella presa d’atto di un fallimento. È invece apparso chiaro che i risultati della Conferenza non sono stati riposti nei cassetti di Bruxelles e l’irruzione dei cittadini “a dodici stelle” nei Palazzi comunitari non potrà restare una simpatica parentesi nel tran-tran eurocratico. A condizione, però, che la spinta di base continui a manifestarsi. Quasi tutti i cittadini “a dodici stelle” intervenuti, ai quali è stato dato uno spazio adeguato, hanno incalzato con decisione i rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione, presenti come interlocutori e destinatari delle istanze a suo tempo elaborate.
Si è avuta la conferma che, delle tre istituzioni di vertice della Ue, è l’Eurocamera la più disponibile a dare spazio alle ipotesi di trasformazione dell’architettura comunitaria, certamente anche perché è ad essa che viene chiesto di conferire nuovi e più ampi poteri e competenze (per esempio l’iniziativa legislativa o le liste transnazionali per elezioni). Di qui, la proposta della presidente Metsola di aprire una “convenzione” apposita, procedura necessaria per giungere alla modifica dei trattati. Ma si sapeva pure che, su questo punto, gli ostacoli sarebbero venuti nel Consiglio europeo che rappresenta i governi dei Ventisette, diversi dei quali hanno già provveduto a raffreddare gli entusiasmi riformatori, non volendo imbarcarsi in un nuovo processo costituente dopo Lisbona. Mentre la Commissione resta in posizione mediana, garantendo peraltro che un buon 80 per cento delle proposte elaborate è già nell’agenda di lavoro di Bruxelles e sarà trasformato in norme quanto prima. Gli euroscettici continueranno a scuotere la testa, ma la costruzione europea è fatta così: mattone dopo mattone, con pazienza e tanta perseveranza. Finché sarà chiaro a tutti che in tempi ferrigni ogni Paese, da solo, è un fragile vaso di coccio.
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